by Elena Kaniadakis * | 7 Luglio 2023 8:58
La commissione del Parlamento europeo per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni Libe ha chiesto ieri di «istituire urgentemente un’inchiesta internazionale» per esaminare le responsabilità delle autorità greche e di Frontex
ATENE. «Occorre recuperare il peschereccio e i corpi al suo interno, in modo che possano essere identificati e sepolti; inoltre, l’imbarcazione è un elemento cruciale per le indagini sulle circostanze del naufragio e l’attribuzione delle responsabilità». Fuori dal tribunale di Kalamata, l’avvocata Eleni Spathana, della ong Refugee Support Aegean, ha lanciato un appello assieme al Consiglio greco dei rifugiati affinché vengano compiuti tutti gli sforzi necessari per garantire giustizia ai familiari delle vittime del naufragio di Pylos, avvenuto il 14 giugno scorso. Solo 104 persone, delle circa 750 che viaggiavano su un peschereccio sovraccarico partito dalle coste libiche, sono sopravvissute, e i corpi recuperati sono stati 82.
A tre settimane dal peggiore naufragio della storia greca, l’impressione è che la verità dell’incidente voglia essere lasciata sepolta assieme all’imbarcazione, affondata in uno dei punti più profondi del Mediterraneo, a sud del Peloponneso. La commissione del Parlamento europeo per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni Libe ha chiesto ieri di «istituire urgentemente un’inchiesta internazionale» per esaminare le responsabilità delle autorità greche e di Frontex. «È molto ingenuo dire che possiamo fidarci delle autorità greche», ha dichiarato l’eurodeputata olandese Sophie in’t Veld, di Renew Europe, esortando Bruxelles a «esercitare pressioni sulla Grecia prima che le prove vengano distrutte». Ma la commissaria europea per gli affari interni Ylva Johansson ha chiarito che Bruxelles non ha intenzione di scavalcare Atene: «Dobbiamo fidarci delle indagini degli Stati membri», ha sostenuto, sebbene le accuse di respingimenti illegali registrate in Grecia negli ultimi anni siano sempre state bollate come infondate dalle autorità greche. Anche Frontex ha sollevato dubbi sulla correttezza dell’operato della Guardia costiera: un drone dell’agenzia europea era stato offerto ad Atene per monitorare il peschereccio, ma la Grecia aveva deciso di dirottarlo altrove, ufficialmente per seguire altre operazioni di soccorso.
Il New York Times e il Washington Post hanno sottolineato come l’intervento della Guardia costiera greca abbia ricordato più un’operazione di polizia, che un salvataggio. Invece di inviare una nave della Marina adatta a soccorrere centinaia di persone, le autorità greche hanno monitorato per ore il peschereccio alla deriva, con la scusa ufficiale che le persone a bordo rifiutavano di essere soccorse per proseguire il viaggio verso l’Italia. Poi, hanno inviato una motovedetta: tra l’equipaggio, c’erano quattro uomini armati e con il volto coperto dal passamontagna, appartenenti a un’unità di operazioni speciali della Guardia Costiera. La motovedetta non ha provveduto a rifornire le persone a bordo di un giubbotto di salvataggio, ma ha agganciato con una corda l’imbarcazione, ufficialmente per «controllare la situazione», ma secondo alcuni sopravvissuti si è trattato di un tentativo di trainare il peschereccio nelle acque di competenza italiana per il soccorso in mare, tentativo che avrebbe causato il ribaltamento dell’imbarcazione.
Per ora Atene ha avviato una doppia indagine: quella su nove cittadini egiziani sopravvissuti al naufragio e accusati di avere agito come scafisti, portata avanti dalla procura di Kalamata, e un’altra indagine sulle responsabilità della Guardia costiera condotta dal Tribunale marittimo. Ma il copione seguito dalle autorità greche rimane sempre lo stesso: per il ministro dell’Immigrazione Dimitris Kairidis, intervistato dall’emittente Ert, le accuse della stampa internazionale sono «ingiuste». La responsabilità, secondo il ministro, fresco di nomina dopo le elezioni del 25 giugno che hanno fatto trionfare i conservatori, è dei media internazionali, «abituati a concentrarsi sulle storie negative, che fanno vendere».
* Fonte/autore: Elena Kaniadakis, il manifesto[1]
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