Il summit Cumbre Ue Celac 2023 ha raccolto i leader di sessanta Paesi per ragionare su una agenda comune e su dossier importanti come il cambiamento climatico o un imponente piano di investimenti e scambi commerciali
Il primo importante risultato della Cumbre Ue Celac 2023 è stato il fatto stesso di essersi tenuta, dopo ben otto anni. Mettere insieme i leader di sessanta Paesi per ragionare su una agenda comune e su dossier importanti come il cambiamento climatico o un imponente piano di investimenti e scambi commerciali è un fatto politico di primaria importanza.In particolare un piano da 45 miliardi di euro da qui al 2027, oltre a una serie di accordi sulla cooperazione energetica, sulle materie prime, e sulla transizione digitale ed ecologica.
Il Summit allude, almeno nella testa di diversi leader latinoamericani, al nuovo assetto politico mondiale in cui l’Europa dovrebbe tornare a svolgere una funzione autonoma e indipendente. Un vertice in cui i leader di grandi Paesi del subcontinente come Brasile Argentina e Messico hanno svolto un ruolo di cerniera e mediazione con i ventisette Paesi europei.
In particolare il presidente Lula ha avuto una funzione centrale, per la forza del suo Paese e per il carisma personale. Ha cercato il negoziato su tutto pur ribadendo la sua posizione sulla guerra in corso contro l’Ucraina, “solo morte, distruzione e fame”. La guerra è stato il convitato di pietra del vertice, nonostante le parole del presidente dell’Argentina Alberto Fernandez, “Questo non è stato un vertice sull’Ucraina”. Alla fine si è raggiunto un accordo, un compromesso in cui sono state limate anche le virgole, “esprimiamo profonda preoccupazione per la guerra in corso contro l’Ucraina, che continua a causare immense sofferenze umane e sta aggravando le debolezze esistenti nell’economia mondiale, limitando la crescita, aumentando l’inflazione, interrompendo le catene di approvvigionamento, aumentando l’insicurezza energetica e alimentare e intensificando i rischi per la stabilità finanziaria”.
Un accordo firmato da tutti, tranne che dal Nicaragua. Dunque un successo diplomatico e la possibilità di lavorare congiuntamente nonostante in Europa spiri un vento di destra determinato anche dall’agenda di guerra mentre in America latina la ola progressista sta pian piano riconquistando tutti i Paesi. Prossima tappa le elezioni in Ecuador con la sinistra fortemente indiziata per la vittoria.
Il tema di fondo per i governi progressisti latino americani è quello del doppio standard che gli europei sembrano utilizzare a loro piacimento. Doppio standard nel giudicare situazioni di occupazione militare e violazione dell’autodeterminazione dei popoli. Fanno fatica a comprendere la differenza di giudizio tra l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’occupazione delle isole argentine Malvinas da parte della Gran Bretagna o il diverso metro di giudizio sulla sistematica occupazione di terra in Cisgiordania da parte di Israele. Doppio standard in caso di violazione dello Stato di diritto e violazioni dei diritti umani fondamentali così come della libertà di stampa e autonomia della magistratura.
Questioni aperte dentro i confini dell’Unione, con i casi Polonia e Ungheria, e fuori; questioni presenti nelle relazioni che l’Unione intrattiene con Paesi come Turchia, Arabia Saudita, Egitto, Tunisia che però non determinano, sulla stampa occidentale, il medesimo sdegno che si scatena quando si tratta di puntare il dito contro un Paese latino americano.
Il Summit è stato anche l’occasione per rilanciare forme di cooperazione e incontro tra i movimenti sociali e politici delle due regioni. Una presenza e un entusiasmo che non si vedeva dai tempi dei Social forum di Porto Alegre. La Cumbre de lo s pueblos, organizzata dal gruppo di the Left con il supporto di alcuni eurodeputati Socialisti e Verdi, ha risposto a questa urgenza: riprendere il filo di un discorso comune. Tantissime persone, panel, performance, musica; molto apprezzata nel panel sui flussi migratori la presenza di Don Mattia di Mediterranea saving human.
Il resto lo hanno fatto i leader di Bolivia, Colombia e Cuba che hanno investito molto nel confronto con i movimenti. I Presidenti Arce, Petro e Diaz Canel hanno contribuito in maniera decisiva alla discussione, così come il leader della sinistra francese Melenchon. Veri e propri comizi, ma anche riflessioni più accurate sulla necessità di trasformare il modello di sviluppo. In particolare il Presidente Petro ha insistito molto sulla lotta radicale al cambiamento climatico come cartina di tornasole della irriformabilità del capitalismo globalizzato che si mangia ogni cosa, uomini, donne, ecosistema.
Due giorni intensi, quelli della Cumbre de los pueblos, che ci lasciano con una agenda di lavoro ambiziosa: ricercare un piano negoziale di pace e rilanciare le ragioni di un nuovo internazionalismo capace di muoversi dentro il quadro geo politico multipolare profondamente mutato.
* Europarlamentare di S&D
Fonte/autore: Massimiliano Smeriglio, il manifesto
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