PNRR. «Piano Scuola 4.0»: fiumi di danaro al capitalismo digitale
I dirigenti scolastici: «Un progetto calato dall’alto, gli istituti rifiutano i fondi perché non ce la fanno, si punta all’iper-digitalizzazione mentre le strutture restano fatiscienti». La protesta contro la scadenza del 30 giugno. Si fa strada la critica allo schiacciamento su una visione tutta economicista fatta di «target» e tarata su un aspetto parziale, solo tecnologico, dell’«innovazione»
Salvo proroghe dell’ultimo minuto si avvicina il 30 giugno quando è prevista la scadenza della presentazione, da parte dei dirigenti scolastici, dei progetti del «piano Scuola 4.0» previsto dal «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr). Il piano è contestato, nella forma e nel merito, da diversi consigli di istituto (come quello del Liceo capitolino Pilo Albertelli, il Manifesto del 24 maggio) anche perché impegna i dirigenti e le amministrazioni scolastiche in un lavoro incessante per rispettare i tempi di consegna.
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I SOLDI che arriveranno saranno finalizzati solo all’acquisto di materiali tecnologici per le aule. «Il Pnrr è un’irripetibile occasione per mettere mano alle questioni urgenti del nostro sistema scolastico ma il “piano Scuola 4.0” si presenta problematico da due punti di vista – spiega Monica Fontana dell’ufficio di presidenza di Proteo Fare Sapere – Pur rientrando in un percorso doveroso di digitalizzazione della pubblica amministrazione è evidente che la scuola ha caratteristiche diverse. Le comunità educanti non sono un servizio da migliorare e gli alunni non sono utenti. La scuola deve migliorare le prestazioni per l’utenza perché ha un mandato complesso, costituzionalmente garantito, di costruzione del sapere finalizzato ad acquisire tanti saperi tra cui competenze di cittadinanza». «Il secondo – continua Fontana – è lo schiacciamento su una visione tutta economicista fatta di target e tarata su un aspetto parziale solo tecnologico dell’innovazione, che serve ma che non è sufficiente: non servono strumentazioni “performanti” se non si discute del ruolo dell’innovazione didattica e di nuovi approcci nella relazione tra insegnamento e apprendimento».
DAL PUNTO DI VISTA dei dirigenti scolastici è mancato «un passaggio fondamentale: assunzioni nella P.A. formazione di figure che dovrebbero gestire questo percorso che è lasciato in mano alla scuola ed è una cosa enorme – sostiene Gianluca Dradi, preside del Liceo Artistico Nervi Severini di Ravenna – Questo Pnrr è un Giano Bifronte. I soldi alla scuola sono sempre benvenuti però non possiamo non notare la rigidità del “Piano Scuola 4.0” che lascia ben pochi margini alle scuole per scegliere ciò che è bene per loro». «Dal punto di vista della gestione amministrativa – spiega il dirigente – sono molto impegnativi con un sovraccarico di lavoro non indifferente per le segreterie, capisco che molte scuole rifiutino i fondi perché non ce la fanno e perché non possono fare scelte in autonomia con un piano calato dall’alto».
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IL SINDACATO dei presidi Dirigenti Scuola ha lanciato in questi giorni i «Tutela Days» ossia una chiamata a raccolta dell’intera categoria che trasmetta al ministro dell’Istruzione (e del Merito) Giuseppe Valditara, l’impossibilità di stare nei tempi previsti e nel contempo declini qualsiasi responsabilità di tipo dirigenziale o erariale. «Il cerino – scrive il sindacato in una nota – non può rimanere sempre in mano ai dirigenti sui quali ricade ogni responsabilità». «Con questa montagna di risorse rischiamo di non risolvere i problemi strutturali – conclude Fontana – con un effetto paradosso: quei divari che volevamo combattere rischiano di ampliarsi».
IL PIANO «SCUOLA 4.0» prevede circa 1,3 miliardi di euro per creare aule «innovative» e 425 milioni per laboratori destinati alla formazione di «professionalità future». Ogni scuola ha un suo «target» precompilato che indica il numero specifico di «classi da trasformare in ambienti di apprendimento innovativi». Il 60% dell’importo assegnato dovrà essere destinato a «acquisto di dotazioni digitali». Il restante 40% è suddiviso tra arredi ovviamente definiti «innovativi», piccoli interventi di carattere edilizio o spese tecnico-operative. Fondi che arrivano dopo un già corposo finanziamento per la digitalizzazione degli anni scorsi: tra il 2014 e il 2021 sono stati spesi 1,9 miliardi di euro per le tecnologie.
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TUTTAVIA non è ancora chiaro come tali fondi saranno distribuiti tra i vari istituti scolastici e, soprattutto, se garantiranno un miglioramento effettivo della scuola dando risposte ai suoi problemi strutturali. Così non sembra. Le «classi innovative» e iper-digitalizzate si troveranno dentro istituti fatiscenti, senza strutture come mense e palestre, o senza i riscaldamenti. E neanche questo sarà per tutti: Centomila aule innovative sembrano tante ma le classi sono, stando all’ultima rilevazione 368.656.
SI FA STRADA la consapevolezza per cui altre risorse pubbliche andranno a vantaggio del mercato delle tecnologie dell’educazione, ma non è chiaro se e come gli studenti ne beneficeranno. L’Ocse, già nel 2015, ha riconosciuto che «nonostante i considerevoli investimenti in computer, connessioni Internet e software per uso didattico, ci sono poche prove concrete che un maggiore uso del computer tra gli studenti porti a punteggi migliori in matematica e in lettura».
* Fonte/autore: Luciana Cimino, il manifesto
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