Sulla banchina del porto di Kalamata, gli operatori umanitari che assistono i naufraghi continuano a ripetere: «È possibile che i morti siano fino a 600». Intanto fanno la spola tra le tende dove i sopravvissuti vengono interrogati dalle autorità. Non ci sono ancora stime ufficiali sui dispersi, ma tra gli uomini che hanno passato la notte in un magazzino del porto, in tanti continuano a dire che sul peschereccio sovraccarico viaggiassero in 750. Gli uomini ammassati sul ponte, le donne e i bambini, più di cento secondo il racconto di alcuni testimoni, stipati invece nella pancia della nave. I superstiti sono 104, le vittime 78, tra queste probabilmente una donna: le autorità non hanno rinvenuto altri corpi rispetto a quelli recuperati nelle prime ore successive al naufragio.

Le salme sono state trasportate nel porto di Kalamata in tarda notte, lontano dalle telecamere dei giornalisti. Una motovedetta della Guardia costiera, protetta dal buio, ha fatto la spola tra il mare aperto e il molo, e i corpi racchiusi nelle sacche sono stati trasferiti nei camion adibiti a celle frigorifere. Ieri sono stati portati a Korydallos, nella periferia di Atene, per l’autopsia e l’identificazione. E a nord della capitale greca, nel centro di accoglienza di Malakasa, dovrebbero essere trasferiti, oggi, i superstiti del naufragio, al termine delle procedure di identificazione.

Dopo le prime ore passate sotto shock a recuperare le forze, stesi sui materassini, gli uomini sopravvissuti al naufragio hanno iniziato a camminare fuori dal magazzino dove sono stati alloggiati. Il più piccolo di loro ha sedici anni, il più anziano 49: camminano in un piazzale recintato, tenuti a distanza dai giornalisti secondo le indicazioni della Guardia costiera, ai piedi indossano le ciabatte che gli sono state fornite al momento dello sbarco. Nella mattinata un gruppo di sei persone viene prelevato dalle autorità e sparisce dentro a un’auto della Polizia: a fine giornata, viene reso noto che nove superstiti sono stati arrestati e accusati di avere agito come scafisti dell’imbarcazione, salpata, secondo le ultime informazioni, dall’Egitto.

Tanti dei sopravvissuti sono alla ricerca di un familiare o di un amico che manca all’appello: il telefono dell’ospedale di Kalamata ha squillato tutta la giornata, molte famiglie hanno chiamato dall’estero in cerca di notizie sui propri parenti. Ma le persone ricoverate sono meno di trenta, tutte in buone condizioni di salute, mentre all’appello mancano centinaia di persone. Sul molo di Kalamata, ieri sono arrivati i primi familiari dei dispersi.

Un uomo siriano è rimasto tutto il giorno fuori dalla recinzione che circonda il magazzino, alla ricerca del fratello, di cui non ha più notizie da quando il peschereccio lungo trenta metri è colato a picco. Mostra delle fotografie, ferma i volontari della Croce rossa che transitano sul molo, ma nessuno è in grado di rispondergli. Un altro ragazzo, egiziano, è giunto a Kalamata dall’Italia, ma non vuole rivelare il suo nome perché teme che i suoi datori di lavoro scoprano che è arrivato fin lì, alla ricerca del fratello: «Non riesco a ottenere notizie, ma non voglio credere che sia morto in mare», racconta mentre scorre nervoso gli aggiornamenti sul suo cellulare.

Le informazioni sul numero dei dispersi non sono ancora chiare, così come le dinamiche dei soccorsi. «Alcuni sopravvissuti ci hanno raccontato che l’incidente è avvenuto quando la Guardia costiera greca ha agganciato il peschereccio con una corda nel tentativo di trainarlo per portarlo in salvo. Allora, senza un apparente motivo, l’imbarcazione si è ribaltata», ha raccontato Kriton Arsenis, membro del partito Mera25, dopo avere incontrato alcuni superstiti. Testimonianze da verificare, che contraddirebbero il resoconto delle operazioni di salvataggio diffuso dalla Guardia costiera greca.

Nel comunicato, infatti, viene spiegato che il peschereccio si sarebbe ribaltato per motivi non specificati, ma non viene menzionato il tentativo di trainare l’imbarcazione, il cui motore era fuori uso. Testimonianze simili sono state confermate anche da Alexis Tsipras, giunto sul molo del porto per incontrare i superstiti e gli operatori umanitari. «Non sono qui per cercare le responsabilità di quanto accaduto» ha ribadito Tsipras, «ma ci sono domande che necessitano risposte: come è possibile che, di fronte a una nave sovraccarica pronta a naufragare, le autorità le abbiano permesso di continuare a navigare?». E ha puntato poi il dito contro Bruxelles, ricordando come le politiche migratorie europee degli ultimi anni hanno trasformato il «Mediterraneo in un cimitero».

* Fonte/autore: Elena Kaniadakis, il manifesto