Fortezza Europa. Scafismo di Stato, pagano milioni per morire abbandonati
Tra i 4.000 e i 6.000 euro. E’ il prezzo pagato dai migranti naufragati in Grecia
Ci si chiede spesso quanto guadagnino gli scafisti per ogni viaggio organizzato, per ogni maledetto gommone sgonfio o barca fatiscente stipata all’inverosimile di essere umani disperati a cui danno l’addio nella notte africana, dopo averla messa in mare e indirizzata verso l’Europa.
Le cifre variano molto, a seconda delle rotte, della grandezza dell’imbarcazione e del costo dei guardiacoste locali da corrompere. Nella Libia occidentale gli organizzatori incassano già molto: dagli 800 ai 1500 euro a passeggero. Spese ne hanno: l’imbarcazione, che farà un viaggio di sola andata, e il pagamento della cosiddetta guardia costiera libica. Ma sono costi sostenibili, non superano mai i cinquemila euro. Tutto il resto è guadagno. In un gommone imbarcano circa 100 persone, il ricavo si attesta sugli 80-150 mila euro. In alcune barche di legno, salgono anche duecento persone, che fruttano dai 200 ai 300 mila euro.
La nuova rotta della Libia orientale vede imbarcazioni ancora più grandi, su cui vengono stipate anche 600 persone. Un viaggio di questi porta nelle casse degli scafisti più di mezzo milione. A volte molto di più: i pochi sopravvissuti alla strage di qualche giorno fa in Grecia hanno testimoniato di essere partiti dalla Libia e di aver pagato dai quattro ai seimila euro a persona. Si parla di 750 persone a bordo, che vorrebbe dire un guadagno di almeno 3 milioni di euro.
In passato la Tunisia teneva a freno le partenze dei migranti non tunisini, le sue barche erano poco cariche e su di esse si vedevano più che altro cittadini tunisini. Nel corso del 2022 la tendenza si è invertita: dei 32mila migranti arrivati in Italia, solo 18mila erano tunisini. Ad inizio 2023 la costa di Sfax ha spalancato il suo mercato a tutti i migranti e le persecuzioni razziali verso gli stranieri incitate dalle parole del presidente Kais Saied hanno indotto migliaia di persone a cercare di fuggire dal paese. In un weekend di marzo 2023 la guardia costiera tunisina ha catturato in mare 2034 persone su 30 diverse barche: 2025 erano migranti subsahariani e soltanto 9 erano tunisini. Anche le tariffe si sono abbassate: dai tre o cinquemila euro di tre anni fa si è recentemente scesi ad appena poco più di mille euro a persona.
Il motivo di questa inversione di tendenza è al momento oscuro ma l’esperienza libica ci insegna che un sistema di imbarchi illegali non può essere portato avanti senza accordi con le forze dell’ordine locali. I punti di partenza sono sempre gli stessi e l’arrivo di centinaia di persone su una spiaggia non resta mai inosservato. Le guardie costiere sono fondamentali per il business, senza di loro non si parte, lo confermano tutti i testimoni. In Libia il metodo è rodato: gli scafisti corrompono la guardia costiera del porto di partenza, la barca salpa tranquilla nella notte, gli aerei spia di Frontex la individuano la mattina successiva in acque internazionali, viene chiamata la cosiddetta guardia costiera libica, ma inviata quasi sempre una motovedetta diversa rispetto a quella che è stata corrotta. Famoso è anche il caso di Zuwara (Libia), dove lo scafista di zona è stato addirittura un poliziotto libico.
Ultimamente si sono intensificati anche i viaggi attraverso il Mediterraneo orientale, molto più costosi ma per nulla più sicuri. I sopravvissuti al naufragio di Cutro hanno testimoniato di aver pagato addirittura ottomila euro a persona.
Raramente ci si chiede in modo serio chi siano le persone dietro il business. Decine migranti africani, denutriti e senza scarpe, al momento dello sbarco in Italia vengono arrestati come “scafisti”. Prova a loro carico una: tenevano il timone. Nel frattempo gli scafisti, quelli veri, rimangono in patria, nelle loro ville, a godersi il denaro guadagnato e ad organizzare il prossimo viaggio.
* Fonte/autore: Sarita Fratini, il manifesto
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