by Mario Pierro * | 28 Giugno 2023 8:45
Per la Caritas il 10% della popolazione italiana vive in povertà. Oggi sono oltre 5 milioni e 700 mila le persone in “povertà assoluta”, pari al 2019 quando è stato introdotto il “reddito di cittadinanza”. Dalla prima crisi globale del 2008 sono triplicati: allora erano 1,8 milioni
La pubblicazione del primo rapporto statistico sulle povertà della Caritas, insieme al proprio bilancio sociale, ieri ha confermato che in Italia il 10% della popolazione residente in Italia vive in condizioni di povertà assoluta. E che solo nell’ultimo anno, vigente il cosiddetto «reddito di cittadinanza», questo tipo di povertà ha coinvolto 5 milioni 571 mila persone.
Dunque è tornata pari, o di poco superiore, al 2019 quando è entrata in vigore questa misura che sarà ristretta e rinominata «assegno di inclusione» dal governo Meloni una volta convertito in legge il «decreto lavoro» entro il prossimo 3 luglio. Più di tante considerazioni parziali, basterebbe solo questo dato per suggerire valutazioni più avvertite sulla problematicità di un’idea di governo dei poveri che non è riducibile ad una singola misura politicamente polarizzante.
La Caritas segnala inoltre che nel 2022 gli assistiti nei suoi centri di ascolto e servizi informatizzati sono aumentati del 12.5%. Questo dato è dovuto in gran parte alla crescita delle persone ucraine giunte in Italia con la guerra (da 3.391 a 21.930). Senza questa occasione, ci sarebbe stata una crescita degli utenti pari al 4,4%, comunque in crescita rispetto all’anno precedente. Sono piccoli segnali che andrebbero considerati come una spia dell’andamento carsico e multidimensionale di un fenomeno socio-politico, e non solo economico, come la povertà. Non riguarda solo condizioni particolarmente compromesse, ma anche quella dei lavoratori poveri che rientrano nella categoria statistica più estesa della «povertà relativa».
L’indagine rivela che è alta la quota dei lavoratori poveri occupati che fanno ricorso ai suoi servizi o alle parrocchie. Due su cinque sono in carico da almeno cinque anni. Molti di loro addirittura da oltre dieci. Chiedono pasti, vestiario, prodotti per neonati, oltre che sussidi economici per pagare bollette o affitto. C’è poi un altro gruppo, definito «giovani stranieri in transito», età media 25 anni, in maggioranza celibi, spesso senza dimora. Uno su due è di nazionalità africana. Per la maggior parte sono persone che vivono sul confine italo-francese e cercano di raggiungere altri paesi europei.
L’analisi ha individuato un altro gruppo, quello dei genitori fragili» tra i 35 e i 60 anni, soprattutto donne disoccupate o precarie, con figli minori conviventi.E poi ci sono i «poveri soli» tra i 35 e i 65 anni, soprattutto celibi o divorziati. Nel Centro, lato Tirreno, e nel Nord Ovest. Quasi la metà vive nelle città e hanno bisogno della mensa e di vestiti.
Questa condizione risente dell’impatto dell’inflazione sulle famiglie in povertà assoluta. «Se le fasce più deboli hanno subito un rincaro dei prezzi del 17,9%, la parte più ricca si è fermata a +9,9%. In questa fase di insicurezza globale si rafforzano le disuguaglianze tra le famiglie più benestanti e quelle meno abbienti, in continuità con quanto accaduto con la pandemia da Covid 19». Triplicata dal 2008, quando interessava 1,8 milioni di persone, la povertà è diventata «strutturale».
* Fonte/autore: Mario Pierro, il manifesto[1]
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