Allargamento NATO. La Svezia s’inchina a Erdogan ed estrada i curdi

Allargamento NATO. La Svezia s’inchina a Erdogan ed estrada i curdi

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Verso il vertice atlantico di Vilnius: prima il via libera della Corte suprema, poi del governo per la consegna di un attivista

 

L’atteso vertice Nato a Vilnius, in Lituania, previsto per i prossimi 11 e 12 luglio sarà il primo che vedrà sventolare la bandiera finlandese insieme alle altre 30. L’ingresso del paese nordico lo scorso aprile è arrivato dopo quasi un anno di negoziati tra Finlandia e Turchia che aveva, in principio, posto un veto al suo ingresso.

Veto che, ad oggi, non è caduto per la vicina Svezia ma che, proprio nella capitale lituana, potrebbe segnare il suo punto di svolta. La Svezia sta portando sul piatto delle trattative con Erdogan esattamente quello che il presidente turco chiedeva: lo scalpo dei curdi. Se già dalla scorsa estate vi erano state timide concessioni alle richieste di Ankara sull’estradizione di alcuni cittadini curdi in Svezia è con la nuova legge «anti terrorismo» che il paese scandinavo assolve alle pretese di Erdogan.

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LA MODIFICA costituzionale votata nell’ottobre scorso dal Riksdag, il parlamento svedese, con 278 voti favorevoli su 349 inasprisce le pene e mira a limitare la libertà di associazione con entità coinvolte o che sostengono il terrorismo. La legge, entrata ufficialmente in vigore il 1° giugno di quest’anno e ribattezzata dalla folta comunità curda svedese (90mila persone, la terza per consistenza in Europa) «anti Pkk», mira a colpire la loro rete di solidarietà e a espellere i militanti che negli anni hanno trovato asilo politico e protezione nel paese scandinavo.

I primi effetti si sono visti già lo scorsa settimana, a pochi giorni dall’entrata in vigore della nuova norma, con la decisione della Suprema corte di Svezia di concedere l’estradizione in Turchia di un cittadino curdo, Mehmet Kokolu. L’uomo era stato condannato nel 2013 in Turchia per aver trasportato una borsa con 1,8 kg di cannabis. Scontati i sei mesi di condanna, era stato rilasciato sulla parola.

Aveva poi lasciato la Turchia legalmente e si era trasferito in Svezia ricevendo un permesso di lavoro. La Corte suprema ha quindi deciso che non vi fossero ostacoli ai sensi della legge sull’estradizione e della Convenzione europea contro l’estradizione in Turchia per l’esecuzione di pene detentive per reati di droga. Lunedì è stato il governo per bocca del funzionario del ministero della Giustizia, Ashrad Ahmed, a ribadire che «il governo condivide la valutazione della Corte suprema» e che «la decisione sull’estradizione sarà applicata all’inizio dell’estate».

Kokolu però ha dichiarato di opporsi all’estradizione annunciando ricorso perché «il vero motivo per cui viene richiesta la mia estradizione è che sono curdo e che ho lavorato attivamente per la causa dei curdi, oltre a sostenere le Ypg e il Pkk». Ha poi raccontato il suo attivismo politico: attivo nella sezione giovanile dell’Hdp, la sinistra turca filo-curda, e nel movimento di Gezi Park.

Di fatto questa estradizione è la prima che avviene con la nuova legge dove la militanza politica diventa un’aggravante e un motivo sufficiente per cedere alle richieste della Turchia che ha molto apprezzato la sentenza chiedendo, per bocca del suo ministro della giustizia che il rimpatrio avvenga «entro quattro settimane».

A PREOCCUPARE la comunità curda in Svezia però non ci sono i singoli casi ma ciò che è emerso in questi giorni da un protocollo di indagine preliminare della Säpo, la polizia di sicurezza, che classifica l’Ncdk (l’associazione culturale curda in Svezia) come organizzazione terroristica.

Immediata è stata la reazione della comunità curda: «L’Ncdk non è e non è mai stata classificata come terrorista, né dalla Svezia né dagli organismi internazionali delle Nazioni unite o dell’Ue; siamo la più grande associazione culturale per i curdi della Svezia e un’organizzazione democratica che opera nel paese da diversi decenni. Säpo non ha né il mandato né la base democratica per effettuare una classificazione come questa».

* Fonte/autore: Roberto Pietrobon, il manifesto



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