Polveriera Kosovo, dopo gli scontri la NATO dispiega altre forze
Usa e Ue condannano a Pristina e le violenze. I serbi presidiano le loro città. Lavrov: la soluzione nel rispetto della Risoluzione 1244 del consiglio di sicurezza dell’Onu
La Nato ha annunciato ieri uno spiegamento di forze addizionali in Kosovo», come «misura di prudenza per assicurare che la Kfor abbia le capacità necessarie per mantenere la sicurezza in accordo con il mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu». La decisione segue i gravi incidenti di lunedì, dove 30 soldati della Kfor-Nato sono rimasti feriti (11 italiani e 19 ungheresi).
L’ambasciatore Usa e il rappresentante Ue hanno convocato ieri a Pristina i sindaci dei quattro comuni del nord Kosovo, la cui elezione il 23 aprile scorso è all’origine dell’infiammata di violenza attuale: i sindaci albanofoni, eletti solo con una partecipazione del 3,5% – poiché la popolazione serba, maggioritaria in questi comuni attorno a Mitrovica, ha boicottato il voto – hanno voluto entrare nei municipi accompagnati dalle forze di polizia locale.
Venerdì, un comunicato firmato da Usa, Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna, aveva condannato «la decisione» di Pristina «di forzare l’accesso ai palazzi comunali del nord Kosovo» e al tempo stesso i cinque paesi Nato si erano detti «preoccupati dalla decisione serba di alzare il livello di preparazione delle forze armate al confine con il Kosovo». Gli Usa, venerdì hanno chiesto al premier albanese, il nazionalista Albin Kurti, di ritirare i sindaci albanofoni eletti da un’infima percentuale di elettori, mentre la Ue da mesi preme per un accordo.
IL PREMIER SERBO, Aleksandar Vucic, ha dichiarato «lo stato d’allerta massimo» e messo l’esercito «in movimento», dopo aver denunciato lunedì’ la dispersione della manifestazione dei serbi, che avrebbe fatto 52 feriti. «Lo diciamo da mesi – ha affermato Vucic – Kurti ha un solo desiderio, provocare un conflitto in Kosovo».
La nuova crisi ha avuto un’eco persino al Roland-Garros, il torneo di tennis internazionale in corso a Parigi, Novak Djokovic (a cui si attribuiscono velleità politiche a Belgrado quando arriverà a fine carriera) ha dichiarato che «il Kosovo è il cuore della Serbia, stop alla violenza», in riferimento alla battaglia del 1389 e al non riconoscimento da parte di Belgrado dell’indipendenza unilaterale del Kosovo nel 2008.
La nuova esplosione di violenza nei Balcani, la «polveriera d’Europa», aggiunge tensione alla guerra in Ucraina e arriva all’inizio di una settimana di grandi manovre diplomatiche europee: oggi, si tiene a Bratislava il Forum Globsec, un think tank slovacco sulle questioni geopolitiche e di sicurezza – dove Macron deve fare un discorso rivolto all’Europa centrale e orientale – mentre domani c’è il secondo summit della Cpe (Comunità politica europea) con 47 paesi presenti a Chisinau, in Moldavia, paese che, con l’Ucraina, è candidato all’entrata nella Ue (ma il via libera all’inizio dei negoziati sarà tra sette mesi) e che è sotto minaccia russa.
La Cpe dovrebbe confermare il suo ruolo di struttura, ancora embrionale, utile per rassicurare i paesi ai margini della Ue e che aspirano ad entrarvi (ma i tempi saranno lunghi, per ragioni economiche), oltre a riconciliare la Gran Bretagna dopo il Brexit.
PER LA UE, Mosca strumentalizza una geografia della paura nelle sue ex zone di influenza e la forzatura albanofona in Kosovo è estremamente rischiosa, perché soffia sul fuoco in una zona, i Balcani occidentali, dove vari paesi sono in fila per i negoziati con la Ue, ma si sentono trascurati dalla preminenza presa dall’Ucraina (e dalla Moldavia).
I negoziati con Belgrado sono al rallentatore, Vucic guarda sempre più a Mosca, ieri il ministro degli Esteri Lavrov ha sostenuto i serbi che in Kosovo «combattono per i loro diritti» ribadendo che «la soluzione alla crisi del Kosovo debba avvenire nel rispetto dei principi e delle norme del diritto internazionale, sulla base della risoluzione 1244 del consiglio di sicurezza dell’Onu che prevede il pieno rispetto della sovranità e integrità territoriale della Serbia».
* Fonte/autore: Anna Maria Merlo, il manifesto
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