by Matteo Giusti * | 18 Aprile 2023 10:06
Al-Burhan si riprende la tv, ma la capitale rimane senza acqua potabile. Hemeti: combattiamo gli islamisti. Tank e aerei da guerra in azione. Anche Mosca chiede la tregua
Terzo giorno di scontri in Sudan e situazione che resta molto confusa. I morti sfiorano il centinaio e i feriti superano il migliaio. Situazione critica a Khartum, ma gli scontri fra l’esercito guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan e i paramilitari guidati dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemeti”, infuriano anche in Darfur, Kordofan e nelle altre principali città del paese, da Kassala a Port Sudan.
A KHARTUM È IN ATTO una vera e propria guerra urbana e per il momento resta complicato capire quale delle due fazioni delle forze armate stia prevalendo. Esplosioni, tank per le strade e aerei che bombardano siti militari strategici stanno mettendo in ginocchio il fragile equilibrio del Sudan. Violata anche la tregua mediata dalle Nazioni unite per ottenere dei corridori umanitari in soccorso alla popolazione civile.
Il World Food Programme ha sospeso il suo intervento nel paese dopo l’uccisione di tre suoi dipendenti mettendo a rischio fame una parte della popolazione.
I bombardamenti non hanno risparmiato nemmeno gli ospedali della capitale situati in zone strategiche della città, nei pressi del comando generale dell’esercito da sabato al centro degli scontri più duri. Il sindacato dei medici sudanesi ha dichiarato che la situazione nei due più grandi ospedali di Khartum è estremamente difficile e che i combattimenti impediscono sia al personale che alle forniture mediche di raggiungere i feriti, colpiti anche da schegge di granata. Insieme a una grave crisi sanitaria Khartum deve fare i conti con una crisi idrica perché è stato interrotta le fornitura d’acqua nelle case e gli abitanti sono costretti ad avventurarsi per le strade alla ricerca di acqua potabile.
DOMENICA ERANO STATE sospese le trasmissioni della televisione di stato e solo ieri si è saputo che l’edificio era caduto nelle mani delle Forze di supporto rapido di Hemeti. Ieri mattina i regolari hanno ripreso il controllo di tv e radio nazionali e dopo molte ore di silenzio sono riprese le trasmissioni, a base di inni e canzoni a favore dell’esercito, mentre in sovrimpressione campeggia la scritta «le forze armate sudanesi sono riuscite a riprendere il controllo dell’emittente nazionale dopo i ripetuti tentativi delle milizie di distruggere le sue infrastrutture».
In questi giorni anche la comunicazione si sta rivelando un’arma preziosa: Hemeti durante il primo giorno di scontri non si era risparmiato, rilasciando diverse interviste in cui affermava che le sue milizie avevano il controllo del 90% dei siti militari e che il generale al- Burhan si nascondeva «sottoterra terrorizzato». Con il passare delle ore il comandante delle Forze di supporto rapido è scomparso da media e social e sono cominciate a circolare notizie di tenore completamente diverso. Ora è l’esercito che afferma di avere il controllo di tutte le basi militari, compreso il Quartier generale di Khartum, dove gli scontri sono stati particolarmente duri. E al-Burhan ha ordinato il «dissolvimento» delle milizie comandate da Hemeti.
Secondo il Sudan Tribune la controffensiva dell’esercito ha ripreso il controllo della parte orientale del paese e di Port Sudan, mentre in Kordofan e in Darfur, dove le milizie del generale “Hemeti” sono particolarmente radicate, la situazione resta in bilico.
DOPO MOLTE ORE DI SILENZIO il Hemeti è tornato a far sentire la sua voce sui social media per dire che i suoi uomini stanno combattendo contro gli islamisti radicali che vogliono tenere il Sudan isolato e lontano dalla democrazia, ma si tratta di un espediente che non sposta le forze in campo.
Mentre sul terreno si combatte duramente i grandi player internazionali continuano a muoversi. Sia l’Unione africana che la Lega Araba, spinta da Egitto e Arabia saudita, hanno tenuto due riunioni di emergenza per chiedere il cessate il fuoco. Anche gli Stati uniti stanno cercando di mediare. E la Russia ha ufficialmente chiesto la fine dello scontro in atto. Visti i rapporti soprattutto economici di Mosca con i due generali e il fatto che sul terreno il vero centro di potere è da tempo il Wagner Group di Evgeny Prigozyn, che fa affari d’oro con le miniere sudanesi, potrebbe avere un peso anche maggiore.
* Fonte/autore: Matteo Giusti, il manifesto[1]
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