Reddito col contagocce: si chiamerà «MIA», meno soldi e più ricatti

Reddito col contagocce: si chiamerà «MIA», meno soldi e più ricatti

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Il governo non intende abolire il “reddito di cittadinanza”, gli cambierà il nome: “Misura di inclusione attiva”, cioè “Mia”. Smentite le indiscrezioni, il testo, promesso a gennaio, «va approfondito». Esecutivo ostaggio dei paradossi delle “politiche attive del lavoro”. I bersagli sono i poveri e i precari: alla ricerca degli strumenti per escluderli e ricattarli e finanziare il “business della disoccupazione”

 

L’abolizione del «reddito di cittadinanza» e il suo sdoppiamento in una misura di «inclusione attiva» per gli «occupabili» e in una carta acquisti per i «poveri assoluti» doveva arrivare entro fine gennaio, poi a febbraio. Ora non è nemmeno chiaro quando arriverà in consiglio dei ministri che dovrebbe varare un decreto. Alla prova dei fatti, dopo avere annunciato la caccia ai poveri, il governo Meloni stenta a fare quadrare il suo cerchio.

LE INDISCREZIONI giornalistiche sulla bozza alla quale starebbe lavorando il ministero del lavoro e delle politiche sociali guidato da Marina Calderone sono state smentite ieri dal ministero dell’Economia secondo il quale «nessuna bozza sulla riforma del reddito è all’esame degli uffici, né mai è pervenuta la relazione tecnica indispensabile per qualsiasi valutazione». Anche il ministero del lavoro è stato costretto a precisare che la bozza non è da ritenersi «un valido testo di riferimento per la riforma». Servirà il tempo necessario per «un approfondito confronto tecnico con altri ministeri, le regioni, i comuni e gli enti competenti». Insomma, a quanto pare, tempi lunghi. Eppure si era parlato di due settimane per varare il decreto.

NELL’INCERTEZZA che dura da un mese e mezzo, calcolando i tempi dettati da diversi esponenti del governo, quello che si sa è che il nuovo strumento dovrebbe chiamarsi «Misura di inclusione attiva» (Mia). La formula è simile a quella usata per il «Sostegno all’inclusione attiva» (Sia) già in vigore dieci anni fa, un’evoluzione della «Carta acquisti» adottata nel 2008 da un governo Berlusconi.

L’«INCLUSIONE ATTIVA» è funzionale alle «politiche attive del lavoro», il nome usato in Europa per il Workfare. Gli individui sono tenuti ad accettare un lavoro, indipendentemente dalla sua qualità, altrimenti non avranno più diritto a un sussidio. Ciò permetterebbe di ridurre la spesa sociale. Idee, va ricordato, già presenti nel «reddito di cittadinanza» ma mai applicate a causa del Covid e soprattutto dei problemi strutturali che impediranno anche al governo Meloni di ottenere significativi risultati.

L’IPOTETICO «MIA» conferma i vicoli ciechi del Workfare e, salvo una nuova scala di equivalenza per le famiglie numerose, peggiora le condizioni di accesso. Sarebbe tagliato l’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), uno degli attuali criteri di accesso, da 9.360 a 7.200 euro. Ciò implicherebbe un taglio di possibili beneficiari di un terzo, forse un milione di persone su una media di circa 3 milioni. È stato stimato un risparmio che potrebbe arrivare a tre miliardi all’anno (sugli 8 complessivi di oggi). Si dice che saranno reinvestiti nelle politiche attive per il lavoro. Auguri. Per ora l’unico dato certo è che il governo ha tagliato il 20% i fondi contro la povertà dal 2024.

NELLA BOZZA sarebbe previsto un assegno da massimo 500 euro medi (contro gli attuali 780) per le famiglie composte da persone non integrabili al lavoro. Per quelle che hanno almeno un membro «occupabile», oltre ai single, previsti 375 euro (contro gli attuali 580). Diversamente da quanto annunciato dal governo, a partire dal prossimo agosto-settembre un sussidio sarà comunque erogato agli «occupabili», anche se tagliato in media di almeno il 25%. Chiuso con il «reddito di cittadinanza» potranno fare domanda per il «Mia». I pochi «occupabili» che ci riusciranno dovranno fare attenzione alla durata del beneficio: non più di 18 mesi ma 12. Per il primo rinnovo dovranno aspettare sei mesi; per il secondo un anno; per il terzo, un anno e mezzo. Il rifiuto di un’offerta di lavoro per contratti brevi e precari potrebbe costare la perdita dell’assegno sociale. Ecco, questo è il paradosso dell’espressione «inclusione attiva». Più che gli «inclusi» saranno invece moltissimi ad essere esclusi. E la vita dei beneficiari sarà una corsa ad ostacoli. Proprio quando la povertà aumenta per la policrisi in corso.

LA BOZZA premia il cosiddetto «business della disoccupazione»: coinvolgere le agenzie private di collocamento. Il beneficio potrebbe valere il 10% di quanto riconosciuto al datore di lavoro. A quest’ultimo sarebbe riconosciuto per due anni l’esonero dal versamento del 100% dei contributi previdenziali in caso di assunzioni stabili o l’abbattimento dell’Ires. Si dimentica che due terzi degli «occupabili» ha la terza media ed è lontano dal mercato del lavoro. C’è spazio per i minorenni non impegnati negli studi dai 16 anni. Saranno obbligati a partecipare alla formazione in cambio del sussidio. Un’esigua minoranza. Ciò che conta è la pedagogia autoritaria.

L’UNICO DATO POSITIVO sarebbe l’abbassamento da 10 a 5 degli anni di residenza per i cittadini stranieri per chiedere l’accesso al «Mia». Un passo obbligato per evitare la procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea

* Fonte/autore: Roberto Ciccarelli, il manifesto



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