Nel primo pomeriggio, mentre all’Assemblée nationale i deputati accoglievano con urla o intonando la Marsigliese e esibendo cartelli di protesta l’intervento della prima ministra, Elisabeth Borne, un corteo di studenti è partito dalla Sorbonne, mettendo in campo altre rivendicazioni. Manifestazioni anche in altre città, con lo slogan «Macron dimissioni».

L’INTERSINDACALE si è riunita ieri sera nella sede della Cgt. «Gli scioperi devono ampliarsi» ha affermato il segretario Cgt, Philippe Martinez. Laurent Berger della Cfdt parla di «nuove mobilitazioni, la riforma deve essere abbandonata». Per Force ouvrière il rifiuto del voto all’Assemblée nationale è «un’ammissione di fallimento del governo». La mobilitazione «non è finita» dicono i sindacati, «fino al ritiro della riforma».

Nuova giornata di scioperi giovedì 23. Per Berger la rinuncia al voto parlamentare è «un vizio democratico» di fronte a «una contestazione molto forte». Ieri, in 35 città, tra cui Parigi, è continuata la protesta dei netturbini[1], malgrado un intervento delle forze dell’ordine per sbloccare un deposito, “giornata morta” nei porti di Nantes-Saint-Nazaire, Le Havre e Brest, scioperi ancora nei trasporti, nei depositi di carburanti, tagli di corrente.

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Al mattino, il testo della riforma, rivisto la vigilia dalla Commissione mista paritaria (un cenacolo di 14 parlamentari) è passato al Senato, con 193 voti a favore e 114 contrari. Il governo non ha invece voluto correre il rischio di una bocciatura all’Assemblée nationale, visto che la destra dei Républicain era divisa e c’erano persino dissidenze nei gruppi della maggioranza relativa.

Così, in un clima di tensione crescente, dopo 4 riunioni di crisi all’Eliseo, dalla sera di mercoledì fino a 5 minuti prima dell’inizio della seduta all’Assemblée nationale alle 15, con un veloce Consiglio dei ministri, alla fine Emmanuel Macron e Elisabeth Borne hanno deciso di ricorrere all’arma “nucleare” del 49.3, evitando un voto troppo incerto, ma ammettendo al tempo stesso un’enorme debolezza politica. «Il mio interesse politico e la mia volontà erano di andare al voto – ha spiegato Macron – ma i rischi finanziari e economici sono troppo grandi» per rischiare una bocciatura.

Per il presidente è una grossa sconfitta, che avrà ripercussioni anche sul peso della Francia nella politica internazionale. Nel MoDem, alleato di Macron, c’è chi parla di «crisi di regime». Molti nella maggioranza dichiarano di non capire il ricorso al 49.3, «dovevamo andare al voto, anche a rischio di perdere, lo dovevamo al parlamento».

AL PARLAMENTO L’ITER della legge non finisce con il 49.3: i gruppi parlamentari hanno 24 ore, cioè fino a oggi alle 15.20, per presentare, riunendo almeno il 10% dei deputati, una mozione di sfiducia (censura) contro il governo, che, se approvata, farebbe cadere Borne. Marine Le Pen ha già annunciato la sua: «È il fallimento di Macron, Borne deve dimettersi».

La coalizione di sinistra Nupes potrebbe unirsi dietro la mozione del gruppo Liot (Libertà Indipendenti oltre-mare e territori, 20 deputati di centro) per una “censura” transpartitica, nella speranza di raccogliere più voti. I Républicain hanno annunciato che non voteranno nessuna sfiducia, ma ci sono dei ribelli. Il voto delle mozioni deve avvenire dopo 48 ore, quindi sabato oppure lunedì.

L’opposizione ha poi altre armi: un ricorso al Consiglio costituzionale, che potrebbe contestare vari articoli della riforma e la raccolta di firme per arrivare a un Rip, referendum di iniziativa condivisa (un quinto dei parlamentari e un decimo degli elettori).

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Borne ha cercato di spiegare le ragioni della negazione del voto – l’undicesimo ricorso al 49.3 per il suo governo – con un discorso quasi inudibile, soffocato dalle urla e dalla Marsigliese della France Insoumise: ha citato il predecessore socialista Michel Rocard, altro governo senza maggioranza assoluta che ha usato 28 volte il 49.3, ha affermato che i deputati hanno espresso dubbi preventivi su un testo di legge che «non era quello del governo, ma era il vostro», uscito dalla Commissione mista la vigilia.

Ha accusato l’ostruzionismo della sinistra, il silenzio sornione dell’estrema destra, l’incoerenza dei repubblicani di fronte a un testo che ha accolto tutte le loro proposte. «La riforma è necessaria», ha insistito. «Schiacciano la democrazia, schiacciano la Francia che lavora, due terzi dei francesi sono contrari, 4 lavoratori su 5, Macron è un estremista, un vero pericolo per la democrazia», ha commentato François Ruffin, deputato della France Insoumise, che parla di «svolta autoritaria».

* Fonte/autore: Anna Maria Merlo, il manifesto[4]