«Il Covid dilagava e non intervennero», le accuse della procura di Bergamo
Omicidio ed epidemia colposi tra le accuse della procura di Bergamo a Conte, Speranza, Fontana e agli altri 16 indagati
BERGAMO. Nelle 35 pagine dell’avviso di conclusione delle indagini le accuse della Procura di Bergamo sono pesantissime e inedite, del resto non era mai successo che una pandemia finisse sotto indagine. I reati contestati ai 19 indagati sono, a seconda delle posizioni, epidemia colposa, omicidio colposo, rifiuti di atti d’ufficio, lesioni colpose e falso. È tutta la catena di comando che ha gestito i primi mesi della pandemia ad essere finita sotto inchiesta.
GLI ATTI RIFERITI all’ex presidente del consiglio Giuseppe Conte e all’ex ministro della Salute Roberto Speranza sono stati inviati per competenza al tribunale dei ministri di Brescia, non sono contenuti nello stesso procedimento degli altri 17 indagati.
La ricostruzione dei magistrati bergamaschi inizia il 5 gennaio 2020 quando l’Oms diffonde un primo allarme sulla diffusione del Covid dalla Cina e raccomanda agli Stati di attuare i propri piani antinfluenzali.
In particolare l’Oms raccomanda di attivare una ricognizione dei posti letto di malattie infettive negli ospedali, di fare scorta di tamponi e dispositivi di protezione individuali, di formare e informare il personale sanitario. Il 20 gennaio 2020 un secondo report dell’Oms intitolato Epidemiological update Novel Coronavirus confermava la trasmissione del virus da persona a persona e indicava le disposizione attivate per la Sars e per la Mers «quale guida per la risposta contro questo nuovo patogeno».
Il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro propose in quei giorni «di non dare attuazione al Piano pandemico, prospettando azioni alternative, così impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste». Brusaferro è indagato per epidemia colposa e rifiuto di atti d’ufficio con, tra gli altri, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, Claudio D’Amario ex dg della prevenzione del ministero, e Angelo Borrelli, ex capo della Protezione Civile. «Non è nei poteri del presidente dell’Istituto adottare piani pandemici o dar seguito alla loro esecuzione» ha scritto ieri in una nota l’Iss.
IN QUESTO FILONE sono indagati anche l’ex assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera e il suo ex direttore generale Luigi Cajazzo per la mancata attuazione del piano pandemico regionale lombardo. Gallera non avrebbe «censito e monitorato i posti letto di malattie infettive», non avrebbe verificato «tempestivamente la dotazione di Dpi» tra cui mascherine, tute e guanti, né garantito «l’adeguata formazione del personale sanitario» come previsto invece dal piano pandemico, seppur non aggiornato dal 2006. Condotte che avrebbero causato una «diffusione incontrollata» del virus.
DAL 23 FEBBRAIO l’attenzione della Procura si sposta sulla Valseriana, tra Alzano Lombardo e Nembro. È la parte più corposa dell’indagine, quella della mancata zona rossa in Valseriana per la quale sono indagati per epidemia colposa Giuseppe Conte, Attilio Fontana e diversi membri del Cts. Il 22 febbraio 2020 nel lodigiano 10 comuni vengono cinturati nella zona rossa, l’industrializzata Valseriana no. Secondo la Procura Fontana sottovalutò l’allarme dal 23 febbraio, giorno della scoperta dei primi due positivi all’ospedale di Alzano, non disponendo adeguate misure di contenimento come fatto invece nei dieci comuni del lodigiano.
Qualche giorno dopo con due distinte mail il 27 e 28 febbraio Fontana chiedeva al governo «il mantenimento delle misure di contenimento già vigenti in Lombardia, non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Valseriana» e in particolare Alzano e Nembro, nonostante fosse a conoscenza dei dati aggiornati dall’epidemiologo Stefano Merler che indicavano un indice di diffusione Ro vicino a 2, cioè diffusione fuori controllo, e che l’ospedale di Alzano era già in grave difficoltà. In quei giorni anche i sindaci di Bergamo e Milano invitavano a non fermarsi e il segretario del Pd Nicola Zingaretti saliva a Milano per un aperitivo contro la paura, contagiandosi.
IN CIMA ALLA CATENA di comando in quei giorni c’era Giuseppe Conte, l’allora presidente del consiglio che secondo i magistrati bergamaschi avrebbe frenato la zona rossa in Valseriana. Quando? Il 5 marzo 2020 l’ex ministro della Salute Speranza scriveva una bozza del decreto per chiudere Alzano e Nembro, Conte però non lo rese esecutivo e i militari già inviati nella valle bergamasca per chiuderla come fatto in provincia di Lodi tornarono indietro. Poi il presidente del consiglio mise la Lombardia in lockdown l’8 marzo e l’Italia il 9. «Ritengo di aver agito con la massima umiltà nel confronto con gli esperti e con il massimo senso di responsabilità e il massimo impegno» ha commentato ieri Conte. «Risponderò nelle sedi opportune ma non vi aspettate da me show mediatici».
* Fonte/autore: Roberto Maggioni, il manifesto
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