Le mani rapaci delle multinazionali sull’ambiente
Il settore finanziario sta promuovendo soluzioni basate sulla finanziarizzazione della natura e della biodiversità, attribuendo un valore monetario ai servizi ecosistemici e a qualsiasi altro capitale naturale
In risposta all’allarmante livello di estinzione progressiva di moltissime specie viventi, il settore finanziario sta promuovendo soluzioni basate sulla finanziarizzazione della natura e della biodiversità, attribuendo un valore monetario ai servizi ecosistemici e a qualsiasi altro capitale naturale. Queste proposte si basano in parte sulla richiesta della Convenzione sulla diversità biologica (CBD) di aumentare trasferimenti di capitale ai Paesi in via di sviluppo da parte dei Paesi più ricchi, al fine di contribuire a sostenere la conservazione e la protezione della biodiversità. In particolare, nell’ambito della bozza di quadro globale presentata alla recente COP 15, è previsto un aumento di 200 miliardi di dollari dei flussi finanziari «per la conservazione della biodiversità».
In altre parole, il settore finanziario reputa che i finanziamenti privati possano essere impiegati per aiutare a proteggere i cosiddetti asset naturali. Questo ragionamento è alla base della continua implementazione di schemi di valutazione misurabili in termini prettamente finanziari, come le nature-based solutions, la finanza blu o i crediti sul carbonio – carbon credits, sulla biodiversità, sugli oceani e sulle terre da dedicare all’agricoltura rigenerativa. Se questi meccanismi suonano familiari, è perché molti di questi schemi finanziari sono simili a quelli proposti per la finanziarizzazione del cambiamento climatico, che sono già stati smascherati come abili operazioni di greenwashing .
La diffusione di questo tipo di schemi era già iniziata nel 2021, quando il New York Stock Exchange (NYSE) presentò una nuova classe di asset basata sul capitale naturale, denominata Natural Asset Companies (NAC). Le NAC funzionano identificando e attribuendo un valore finanziario a un bene naturale, come, ad esempio, un pezzo di foresta pluviale in via di estinzione, o un animale in via di estinzione o un intero ecosistema. Su questa base, viene creata una NAC, che viene gestita dalla società proprietaria e quotata in borsa. La NAC genera quindi capitale finanziario attraverso il mercato azionario e il suo valore (ovvero il valore del «capitale naturale») è determinato dal prezzo di mercato. In teoria, la NAC dovrebbe conservare, mantenere e accrescere il patrimonio naturale. In realtà, grazie a questi schemi, le NAC e chiunque creasse, valorizzasse e detenesse «crediti di biodiversità» arriverebbe a poter arrogare diritti esclusivi su ecosistemi, servizi ecosistemici, territori, esseri viventi e processi ecologici. Organizzazioni come Finance for Europe (AFME) e EY promuovono l’istituzione di questo tipo di società.
Persino il NYSE e altri mercati azionari ammettono che l’attrattiva principale di questi nuovi schemi di finanziarizzazione è il potenziale virtualmente illimitato di generazione di profitti. Come dichiarato da Intrinsic Exchange, questa nuova classe di attività può essere potenzialmente valutata a 4000 miliardi di dollari. Il tentativo del settore finanziario di mercificare interi ecosistemi presenta molti aspetti allarmanti.
Questi meccanismi permettono essenzialmente al settore finanziario di determinare cosa in natura abbia valore e quali comunità ecologiche ed ecosistemi siano o non siano beni da proteggere. La finanziarizzazione della natura non farà altro che portare a un’ulteriore mercificazione degli ultimi beni comuni rimasti, piegando all’economia di mercato quell’ultima parte del mondo naturale ancora al di fuori del controllo umano. Come la storia ci ha dimostrato, l’appropriazione dei beni comuni da parte di aziende private o multinazionali non ha mai portato a una maggiore protezione della natura.
* Fonte/autore: Ruchi Shroff, il manifesto
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