La constatazione di Marion non è sfuggita ai sindacati, che sin dalla presentazione del progetto di riforma l’hanno definito «una riforma anti-donne». Secondo la Cgt, «già oggi le donne vanno in pensione più tardi e con delle pensioni inferiori agli uomini; con la riforma, dovranno lavorare più a lungo degli uomini». L’accusa dei sindacati ha trovato un’insperata conferma per voce del ministro per le relazioni col parlamento Franck Riester, che il 24 gennaio ha dichiarato in diretta tv che le donne «sono un po’ penalizzate dall’aumento dell’età pensionabile, giacché i trimestri considerati per i figli non saranno presi in conto». Risultato, come ammesso dal deputato macronista Stanislas Guérini: «Le donne dovranno versare contributi un po’ più a lungo che gli uomini».

«Tutte le riforme che aumentano l’età pensionabile danneggiano le donne», ha scritto dal canto suo la Cgt. «Già oggi, il 40% delle donne va in pensione con una carriera incompleta». Effettivamente, le donne sono più vulnerabili alle «carriere spezzatino», dice Titiane, 24 anni, studentessa in apprendistato in una ditta d’informatica. «Siamo già penalizzate sui salari, ma soprattutto, tendiamo a essere più precarie per tutta una serie di ragioni. Con questa riforma ovviamente, subiamo più che gli uomini», dice, mentre distribuisce dei volantini del Nouveau Parti Anticapitaliste.
Secondo le simulazioni del governo, con l’aumento dell’età pensionabile a 64 anni e il nuovo sistema di contributi, le donne nate nel 1966 lavoreranno in media 7 mesi in più rispetto allo status quo, a fronte di cinque mesi supplementari per gli uomini. Quelle nate nel 1972 andranno in pensione 9 mesi più tardi, contro 5 per gli uomini, e quelle del 1980 partiranno 8 mesi più tardi, mentre i colleghi maschi solo 4.

Uno scenario da incubo per Catherine, infermiera in un ospedale parigino. A 56 anni, dopo 30 anni di corsia, dice che la sola idea di dover lavorare ancora quasi un decennio la fa infuriare. «Lavoro in psichiatria, è un lavoro pesantissimo, tanto sul piano fisico che mentale. Siamo meno pagate dei nostri colleghi maschi, ma facciamo un lavoro pesante come il loro» ed ecco che il governo non solo vuole che lavoriamo di più «ma che lavoriamo più degli uomini. È uno scandalo», dice, mentre segue le colleghe col camice bianco.

* Fonte/autore: Filippo Ortona, il manifesto