Ecuador. Andrés Arauz: «Riconnettere paese, sinistra e buen vivir»

by Federico Nastasi * | 5 Febbraio 2023 9:26

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Urne aperte nel paese andino. Parla il candidato che sfiorò la presidenza nel 2021 e che con le amministrative e il referendum in programma oggi spera in una spallata al governo di destra del banchiere Lasso. «I quesiti referendari chiave per il governo sono l’autonomia della Fiscalía General e l’autorizzazione all’estradizione: entrambi hanno valore geopolitico, sono una richiesta Usa»

 

Domenica 5 febbraio l’Ecuador va al voto per le elezioni amministrative e un articolato pacchetto referendario. È l’appuntamento elettorale più importante che intervalla le presidenziali, che si svolgono ogni quattro anni. L’Ecuador, come la maggioranza dei paesi latinoamericani, ha un sistema presidenziale puro. Il gioco politico gira attorno al presidente eletto direttamente dai cittadini, parlamenti con alto potere di veto e propensione alla corruzione, partiti politici deboli e frammentati.

ATTUALMENTE IL PAESE ANDINO, con i suoi 18 milioni di abitanti, un’economia legata all’esportazione di petrolio e agroalimentari e continue crisi sociali e di sicurezza, è guidato dal banchiere conservatore Guillermo Lasso. Lasso, eletto nel 2021, ha avuto la meglio sul candidato della sinistra, Andrés Arauz, che ha raggiunto il 47.6%. Ed è con Arauz, 38 anni, economista, ex ministro, originario della capitale, Quito, che parliamo della posta in gioco del voto e del momento politico che vive il paese.

Sarà la prima occasione del popolo ecuadoriano per pronunciarsi sul disastroso governo Lasso. L’assunto principale è il referendum» afferma. Tra i quesiti referendari: la riduzione dei parlamentari, l’aumento di iscritti per registrare un movimento politico, la nascita di un sistema di protezione idrica, la compensazione alle comunità per la difesa dell’ambiente, la riforma del Consiglio di partecipazione cittadina e controllo sociale (Cpccs).

Il presidente Lasso, con un’approvazione attorno al 15%, fa campagna per otto “Sì” e cerca così di legittimare il proprio governo. «Ma i quesiti essenziali per il governo sono due: l’autonomia della Fiscalía General del Estado (con funzioni simili alla Procura in Italia, ndr) e l’autorizzazione all’estradizione. Entrambi hanno un valore geopolitico, sono richiesta degli Usa: l’estradizione è un ricatto contro quegli imprenditori in affari con Russia, Venezuela o Cuba, non serve certo per combattere il narcotraffico. E l’autonomia della Fiscalía rafforza il lawfare» afferma Arauz, riferendosi all’utilizzo del potere giudiziario con fini politici, «una strategia di influenza neocoloniale di Washington negli affari latinoamericani».

CONTRO IL REFERENDUM un’ampia coalizione, che include anche la Confederazione dei popoli indigeni dell’Ecuador (Conaie) e la Revolución Ciudadana (RC), movimento di sinistra a cui è iscritto Arauz. Il fronte del “No” cerca la spallata a un governo «senza appoggio popolare e nemmeno del congresso, ma sostenuto dalle forze armate, dagli Stati uniti e dal potere giudiziario» spiega Arauz.

Oltre al referendum, gli ecuadoriani riceveranno le schede anche per le elezioni amministrative e per il Cpccs. Ci sono città importanti che vanno al voto, come Guayaquil, motore economico e grande porto commerciale sul Pacifico, tradizionalmente governata dal Partido Social Cristiano di destra. Le sfide più importanti a Quito, centro politico del paese, e per le presidenze di alcune province. In Ecuador i sindaci sono eletti con un sistema elettorale a turno unico, il primo arrivato vince.

A QUITO, 2 MILIONI E 700 MILA abitanti, l’ultimo sindaco – Jorge Yunda – è stato eletto con appena il 21% dei voti. Ed è proprio Yunda, impresario del mondo della comunicazione, politico con tinte populiste di origine indigena e inviso alla élite locali, che cerca la rielezione. Lo sfida un candidato della RC, Pabel Muñoz.

«Con queste elezioni, i partiti misurano le proprie forze, sia a livello nazionale sia in alcuni territori chiave. Temo un rafforzamento della destra neofascista rispetto alla destra liberale» dichiara Arauz. Il quale poi si concentra sul momento politico che vive il paese: «Non c’è una rotta da seguire. Il progetto del buen vivir – dice Arauz, riferendosi alla costituzione del 2008 approvata durante i governi di sinistra di Rafael Correa – è stato sostituito da un accordo con il Fondo Monetario Internazionale che punta alla stabilità dei conti pubblici senza obiettivi di sviluppo. Oggi appena si prova a sopravvivere. Abbiamo il tasso di omicidi più alto di sempre, la salute al collasso e l’educazione non garantisce un futuro migliore. Per questo viviamo la peggior crisi migratoria del secolo. Paragonabile solo a quella del feriado bancario» afferma Arauz, riferendosi alla crisi del 1999, quando vennero congelati i conti bancari, il paese abbandonò la propria moneta e adottò il dollaro Usa. Con i risparmi familiari ridotti in coriandoli, 900 mila persone lasciarono il paese. Molte arrivarono in Italia, a Roma, Genova e Milano.

«È IMPORTANTE RICONNETTERE il paese con un sogno come quello del buen vivir – dice Arauz con la testa alle elezioni presidenziali del 2024. Lui non pensa di ricandidarsi, ma si impegna per rafforzare il suo partito: «RC ha una buona rappresentanza parlamentare, ma non ha legami stabili con organizzazioni di studenti, donne, lavoratori, pescatori, contadini. Se sei all’opposizione e non hai legami sociali, è impossibile ottenere cambiamenti. Dobbiamo trasformarci da movimento elettorale a forza politica di territorio» dichiara.

Su RC e sulla politica ecuadoriana si staglia l’ombra dell’ex presidente Correa, al governo dal 2007 al 2017, uomo forte della sinistra che ancora oggi divide il campo politico sostenitori e oppositori. Arauz, che di Correa è stato ministro, ultimamente non sempre è d’accordo con l’ex presidente. Non lo cita mai ma dice che «i leader forti sono un vantaggio, permettono sintesi e alleanze in società eterogenee come le nostre. Questo manca alla destra. E se guardiamo al caso boliviano, un leader carismatico può coesistere con basi sociali forti. Non sono in antitesi».

* Fonte/autore:Federico Nastasi,  il manifesto[1]

 

 

ph by https://andresarauz.ec, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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