Welfare. Anziani senza assistenza, i costi ospedalieri

Welfare. Anziani senza assistenza, i costi ospedalieri

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Oltre 2 milioni di giornate di degenza improprie per la difficoltà a dimettere gli over 70 costano 1,5 miliardi l’anno. Il 64% non ha strutture intermedie nel territorio, il 49% non riesce ad accedere alle Rsa. Francesco Dentali (Fadoi): «Dovremmo riflettere sul nostro sistema di assistenza sociale: secondo l’Osservatorio del Cnel, per i servizi impiega appena lo 0,42% del Pil»

 

Ogni anno in Italia si registrano oltre 2 milioni di giornate di degenza improprie per la difficoltà a dimettere dagli ospedali gli anziani soli. È la Sanità pubblica, quindi, che deve sostenere le carenze del sistema di assistenza sociale e dei servizi territoriali. Il dato emerge dal report della Federazione dei medici internisti ospedalieri realizzato analizzando 98 strutture. Mancando una presa in carico del paziente da dimettere, il risultato è che – con gli ospedali già affollati – nei Pronto soccorso le persone rimangono in barella anche per giorni, in attesa che si liberi un posto in reparto.

I PS SI INGOLFANO perché letti e personale sono stati tagliati ma anche perché la metà dei ricoveri riguarda pazienti over 70 e in oltre il 50% dei casi restano in reparto circa una settimana in più del necessario, visto che non hanno un familiare che possa assisterli e che nemmeno possiedono una pensione tale da potersi pagare i circa 2mila euro di retta mensile per una Rsa. Inoltre, nella gran parte dei territori mancano strutture sanitarie intermedie e in un caso su quattro si ha difficoltà ad attivare l’Assistenza domiciliare integrata. Così, spiega il report, considerando che i ricoveri nei reparti di medicina interna sono circa un milione l’anno e che almeno la metà di questi sono di over 70, e ben più del 50% di questi prolunga mediamente di una settimana il ricovero oltre le necessità sanitarie, in tutto sarebbero 2,1 milioni le giornate di degenza in eccesso. Considerando il costo medio di una giornata, pari a 712 euro secondo i dati Ocse, fanno in totale 1 miliardo e mezzo l’anno di spesa che si sarebbe potuto investire in assistenza sanitaria.

NEI REPARTI di Medicina interna gli over 70 sono oltre la metà nell’87,8% delle strutture. Molti anche gli ultra 80enni, che sono più della metà nel 17,3% delle strutture, tra il 40 e il 50% nel 20,4% dei casi, tra il 30 e 40% nel 24,5% dei reparti. Si tratta di pazienti complessi che nell’80,6% dei casi richiedono oltre 7 giorni di degenza per essere trattati, con un’alta intensità di cura nel 28,6% dei casi, media per il 69,4%. «Quando il medico dà disposizione per la dimissione – osservano gli internisti – la data si protrae per oltre una settimana nel 26,5% dei casi, da 5 a 7 giorni nel 39,8% dei pazienti, mentre un altro 28,6% sosta dai 2 ai 4 giorni più del dovuto».

IL 75,5% DEI PAZIENTI anziani resta impropriamente in ospedale perché non ha nessun familiare o badante a casa, per il 49% non c’è possibilità di entrare in una Rsa. Il 64,3% protrae il ricovero perché non ci sono strutture sanitarie intermedie nel territorio mentre il 22,4% ha difficoltà ad attivare l’Adi. Una volta dimessi, il 24,5% dei pazienti ultra 70enni va direttamente a casa, il 41,8% avendo però almeno attivato l’assistenza domiciliare. Il 15,3% finisce in una Rsa, il 18,4% in una struttura intermedia.

FRANCESCO DENTALI, presidente Fadoi, spiega: «Il quadro dovrebbe far riflettere sul nostro sistema di assistenza sociale che, secondo l’Osservatorio del Cnel, per i servizi impiega appena lo 0,42% del Pil, mentre in base ai dati Inps oltre 25 miliardi vengono erogati sotto forma di assegni, come quelli di accompagnamento o di invalidità. Questo senza considerare i 3,4 miliardi erogati dai comuni. Un sistema inverso a quello adottato da molti Paesi, soprattutto del Nord Europa, dove l’ottimizzazione delle risorse passa per un maggiore investimento nei servizi alla persona». E ancora: «C’è anche una carenza di strutture intermedie territoriali. A questo proposito dovrebbe intervenire il Dm 77 sulla riforma delle cure primarie, che le individua negli Ospedali di comunità».

STRUTTURE però che non è chiaro se il governo Meloni voglia ancora finanziare. Per adesso FdI si è limitata a sostenere che per il territorio bastano i medici di base e i farmacisti. Il presidente uscente di Fadoi, Dario Manfellotto: «Le ricette come le Case della comunità e gli Ospedali di comunità sono modelli che abbiamo già sperimentato ma che spesso non funzionano. E poi un Ospedale di comunità a quasi totale gestione infermieristica non può funzionare. In questo Recovery vi è una riduzione del numero dei medici e una diminutio del ruolo del medico: questo non può essere il futuro della sanità».

A LANCIARE L’ALLARME, ieri, è stato anche Raffaele Donini, coordinatore della Commissione salute delle Regioni, in una lettera al ministro della Sanità Schillaci e a quello dell’Economia Giorgetti: «Indifferibile programmare rapidamente un intervento straordinario e strategico, non emergenziale, per affrontare la carenza di personale e la crisi finanziaria in cui da tre anni versano i Sistemi sanitari regionali. Questa situazione determinerà conseguenze catastrofiche per il Servizio pubblico. La sostenibilità economico-finanziaria dei bilanci sanitari è fortemente compromessa».

* Fonte/autore: il manifesto



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