by Chiara Cruciati * | 6 Gennaio 2023 10:14
Mentre Erdogan gioca al mediatore per l’Ucraina, in casa la Corte costituzionale toglie i fondi al partito della sinistra, impedendogli di fatto la campagna elettorale. E martedì la stessa corte potrebbe decidere di chiuderlo
Ieri, mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan telefonava a mezza Europa dell’est, a Mus il suo esercito sequestrava la bara di Mîr Perwer, il musicista curdo ucciso il 23 dicembre a Parigi, insieme a Evîn Goyî e Abdurrahman Kızıl.
L’ha poi sepolto, impedendo a migliaia di persone di piangerlo: ci hanno provato, ma di fronte c’erano gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. Tra i fermati, anche deputati dell’Hdp.
QUEL PARTITO democratico dei Popoli, formazione multiforme della sinistra turca filo-curda, che poche ore prima si era visto congelare i conti bancari dalla Corte costituzionale, secondo cui parte dei fondi finanzierebbe attività terroristiche. Accusa vecchia: dal 2015 l’Hdp viene costantemente decapitato dei vertici e sfoltito della base per presunto terrorismo (sostegno al Partito dei Lavoratori del Kurdistan, Pkk).
Se nel sud-est ha significato il commissariamento[1] di decine di municipalità e nella detenzione di oltre 7mila sostenitori, in parlamento si è tradotto nella cancellazione dell’immunità e l’arresto di decine di deputati.
Ora conti bloccati dalla magistratura, che dal tentato golpe del 2016 è stata talmente tanto rimaneggiata da essersi di fatto tramutata nell’ennesimo braccio operativo del governo a guida Akp, il partito di Erdogan. Guardate alla sentenza di tre giorni fa del Consiglio di Stato: l’uscita[2] dalla Convenzione internazionale di Istanbul per la lotta alle violenze sulle donne è «legittima», hanno stabilito i giudici rigettando i ricorsi di movimenti femministi e ong secondo cui quel potere non spetta al presidente visto che ad approvare la Convenzione è stato il parlamento.
«LA CORTE HA PRESO una decisione sotto pressione politica», ha commentato la deputata e portavoce dell’Hdp, Ebru Gunay a proposito del blocco dei conti, che fa ora temere l’identico destino dei suoi predecessori: la messa al bando del partito. Il processo[3] in merito, pendente, proseguirà il prossimo martedì con una nuova udienza – ancora di fronte alla Corte costituzionale – e potenzialmente la sentenza definitiva.
La mossa è efficace non solo dal punto di vista mediatico: nei primi 10 giorni di gennaio nei conti bancari dei vari partiti confluiscono i finanziamenti statali, che per l’Hdp nel 2023 ammontano a 539,5 milioni di lire (poco più di 27 milioni di euro), utili all’organizzazione delle attività politiche. Che, in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari del 2023, sono fondamentali alla campagna elettorale.
QUELLA DELL’AKP procede invece spedita. Da una parte a suon di regali di facciata (aumento del salario minimo, cancellazione dell’età pensionabile) con un’inflazione che a dicembre ha toccato quota 64% secondo il governo e 137% secondo l’istituto indipendente Enag Inflation Research Group.
Dall’altra tentando di far evaporare l’avanzata delle opposizioni: dell’Hdp, terza forza parlamentare la cui eventuale crescita allontanerebbe l’Akp da una maggioranza stabile, ma anche dei repubblicani del Chp, seconda forza, colpita un mese fa dalla condanna a due anni e mezzo di prigione per insulti alla magistratura del temuto sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu[4], l’unico finora ad aver sconfitto Erdogan due volte (l’Akp aveva costretto la città a ri-votare, ha perso lo stesso).
Il tempo stringe. Erdogan ha fretta. Lo si capisce dall’annuncio fatto ieri alla sezione dell’Akp di Ankara: il voto – previsto per il 18 giugno – potrebbe essere anticipato al 30 aprile o al 14 maggio. Per permettere agli studenti di affrontare sereni la maturità, avrebbe detto. O per non crollare troppo nei consensi.
* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto[5]
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