La Russia ristruttura l’esercito, un milione e mezzo di soldati
Il piano di Shoigu per riformare l’esercito. Ma la nuova leva avrà forti ripercussioni sull’intera società russa
A Mosca il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, porta avanti una riforma che è destinata ad avere profonde ripercussioni non solo sulle forze armate, ma sull’intera società russa. Il piano prevede due nuovi distretti militari, uno a Mosca, l’altro a San Pietroburgo; un corpo d’armata nella Repubblica della Carelia, al confine con la Finlandia; e l’autosufficienza per le quattro regioni ucraine che il capo del Cremlino, Vladimir Putin, ha annesso con un decreto lo scorso settembre: Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson.
Per raggiungere gli obiettivi Shoigu intende portare il numero di uomini in servizio attivo da un milione a un milione e mezzo modificando i canoni della leva. Tutto questo nel volgere dei prossimi tre anni.
LE LINEE GUIDA della riforma sono state discusse ieri con il capo di stato maggiore, Valery Gerasimov, e con il comandante del distretto orientale, Rustam Muradov, durante l’ispezione che il ministro ha compiuto al quartier generale del gruppo di combattimento “Vostok” in territorio ucraino. Si tratta della seconda visita al fronte dopo quella compiuta lo scorso luglio.
Shoigu dice: «Possiamo garantire la sicurezza del nostro paese e delle nuove regioni solamente rafforzando le strutture chiave dell’esercito». È possibile, quindi, immaginare investimenti sulla marina, sulle forze aerospaziali e sul comparto nucleare.
La discussione arriva in un momento decisivo della guerra in Ucraina. La scorsa settimana il presidente russo, Vladimir Putin, ha modificato la struttura di comando delle operazioni, affidandone la guida a Gerasimov. A Kiev i servizi segreti ritengono che Gerasimov abbia ricevuto l’ordine di chiudere la conquista del Donbass entro il mese di marzo. Nelle ultime settimane i russi sembrano riusciti a compromettere una delle linee di difesa che gli ucraini hanno costruito nella parte orientale del paese.
PROPRIO IERI il ministero della Difesa russo ha confermato di avere ottenuto il pieno controllo di Soledar, una cittadina mineraria a metà strada fra il territorio di Lugansk e quello di Donetsk, che è stata al centro di violenti scontri con migliaia di vittime. Al momento, tuttavia, i russi non sembrano in grado di rispettare l’ipotetica scadenza di marzo.
Da Putin molti attendono un nuovo ordine di mobilitazione che dovrebbe riguardare mezzo milione di riservisti dopo i trecentomila richiamati in autunno. Il suo portavoce, Dmitri Peskov, ha fatto, però, sapere che non ci sono annunci del genere in vista.
Peskov ha fornito anche una lettura politica della riforma su cui Shoigu lavora: «La decisione di aumentare il numero delle truppe è dettata dal conflitto per procura che l’occidente conduce contro la Russia», un conflitto, ha detto sempre Peskov, «che comprende diversi elementi: partecipazione diretta e indiretta alle ostilità, guerra economica, guerra finanziaria, guerra legale e così via». Insomma, oltre all’Ucraina, i vertici del potere russo sembrano impegnati in una profonda opera di militarizzazione della Russia, nella prospettiva di un confronto lungo con l’Europa e con gli Stati Uniti. Questa opera passa necessariamente per la riforma dell’esercito e per una inclusione sempre più ampia dei cittadini nei meccanismi delle forze armate.
NEL GIRO DI POCHI MESI Putin e la sua élite radicale sembrano riusciti a bloccare in modo definitivo lo sviluppo di carattere liberale che la società russa, fra contraddizioni e difficoltà, pareva comunque avere abbracciato. Quella fase storica è terminata con la guerra in Ucraina.
C’è un altro segnale che conferma la tendenza. Ieri Putin ha presentato alla Duma un provvedimento di iniziativa presidenziale per interrompere ogni trattato internazionale con il Consiglio d’Europa. Il testo si trova già sulla scrivania dello speaker della Duma, Vyacheslav Volodyn. La Russia era entrata a far parte dell’organismo nel 1996. È stata sospesa all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Lo scorso settembre Mosca si è ritirata anche dalla Convenzione europea dei Diritti dell’uomo.
* Fonte/autore: Luigi De Biase, il manifesto
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