La Francia protesta contro la riforma delle pensioni: «No a quota 64»
Oggi sciopero contro l’innalzamento di due anni
Sarà un test, sia per il governo che per le opposizioni di sinistra: la Francia sarà paralizzata dalla prima giornata di scioperi e manifestazioni contro la riforma delle pensioni di Elisabeth Borne – la sesta in trent’anni e forse non l’ultima – che si è concentrata nell’opinione pubblica nella misura più emblematica, l’età pensionabile allungata dagli attuali 62 anni a 64. Per la prima volta da dodici anni, tutti i sindacati sono uniti in un fronte contrario, anche i riformisti. La Nupes, la coalizione di sinistra che ha 145 deputati, è per il momento compatta nel sostegno al “no” sindacale, anche se le posizioni di fondo divergono tra France Insoumise e Pcf, che propongono un ritorno ai 60 anni, e Ps e Verdi, che vogliono mantenere la barra a 62. Sono state annunciate più di 200 manifestazioni, a Parigi il corteo sarà da République a Nation, i sindacati sperano di superare il milione di partecipanti in tutto il paese. Ferrovie, trasporti urbani, scuole, settore dell’energia saranno paralizzati. Più incerta la partecipazione dei lavoratori del privato, in un momento in cui i salari sono erosi dall’inflazione. In piazza ci sarà anche la protesta, a livello simbolico, di poliziotti del sindacato di estrema destra Alliance. Ma il Rassemblement national, che pure fa campagna contro la riforma e promette un ritorno ai 60 anni, non si è unito alle manifestazioni: Marine Le Pen ha affermato che lotterà contro dagli 89 seggi dell’Assemblée nationale.
Oggi scende in piazza la collera contro una riforma che i sindacati ritengono non necessaria e ingiusta. Ma quale sarà il seguito? La France Insoumise ha già organizzato una “marcia” di protesta a Parigi sabato 21. La Nupes, riunita alla palestra Japy lunedì, ha evocato esempi vittoriosi del passato: la battaglia dei giovani contro il Cpe (contratto di primo impiego) nel 2006, votato e poi ritirato dall’allora governo de Villepin, l’opposizione al Trattato costituzionale europeo, sotterrato con il referendum del 2005 (ma allora il grosso dei socialisti era a favore) e addirittura il grande sciopero del 1995, sempre per le pensioni, durato più di un mese. Oggi, anche se l’opinione pubblica è al 60-70% contro la riforma Borne, c’è il rischio della rassegnazione, il 58% pensa che comunque vada la protesta la riforma passerà. Al parlamento il governo ha i voti, con l’appoggio della destra Lr. Per il governo la riforma è «necessaria» per salvare il sistema per ripartizione – le pensioni sono pagate dai contributi dei lavoratori attivi – che è sempre più squilibrato e che senza cambiamenti porterà o alla riduzione degli assegni o addirittura al crollo e al trionfo del sistema individuale per capitalizzazione: oggi ci sono 1,7 lavoratori per un pensionato e questa ratio tende a peggiorare nel futuro. Il governo prende l’esempio dei paesi vicini, tutti con la pensione dai 65 anni in su.
C’è il rischio, nel caso di una protesta senza risultati, che esploda la rabbia, come ai tempi dei gilet gialli, anche attraverso la nascita di comitati di base extra-sindacali.
* Fonte/autore: Anna Maria Merlo, il manifesto
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