Ex Ilva. Operai furiosi contro il governo che appoggia Arcelor Mittal

Ex Ilva. Operai furiosi contro il governo che appoggia Arcelor Mittal

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Il governo annuncia un accordo di programma e lascia in sella la multinazionale. Inascoltata la richiesta di lavoratori e sindacati di prendere il controllo delle Acciaierie d’Italia. Nuovi scioperi in vista: “C’era l’accordo del 2018, ora dicono che non esiste più ma dobbiamo chiederne il rispetto, davanti alla magistratura e con le lotte”

 

Nel groviglio di contraddizioni quasi insuperabili che accompagnano l’esistenza del polo siderurgico più grande d’Europa, la sola certezza che esce dal vertice sulla ex Ilva di Taranto è che il governo non ha intenzione di prendere in mano le redini dell’azienda, facendo valere i copiosi aiuti elargiti e gli altri provvedimenti, dallo scudo penale all’alt ai sequestri della magistratura, fatti a favore di Arcelor Mittal. Al termine dell’incontro al Mimit infatti il ministro Urso annuncia un accordo di programma per la reindustrializzazione dell’area, compresa la portualità e la logistica, e anticipa: “Il prossimo tavolo sarà fra un mese, per avere il tempo di ascoltare il Parlamento e le forze sociali. Allora forniremo le linee direttrici dell’accordo. Mentre Acciaierie d’Italia fornirà un cronogranma, che monitoreremo, per il rilancio e la conversione ambientale”.
Musica per le orecchie dell’ad Lucia Morselli, che sogna di portare un rigassificatore nel porto e che resterà in sella nonostante una strategia d’azione che sta radendo al suolo un indotto importante, come ad esempio quello rappresentato dai quattro stabilimenti Sanac, espulsi dalla filiera e addirittura non pagati per le ultime consegne di refrattari. Una dirigente d’azienda che, di fronte allo sforamento del cancerogeno benzene in città, certificato pochi giorni fa dall’Arpa pugliese, accusa la raffineria di una furibonda Eni e dichiara papale papale: “L’area a caldo di Taranto è la più pulita d’Europa, e quindi forse del mondo”.
Invece schiaffi in faccia dal governo ai 750 operai arrivati dalla città pugliese con le bandiere di Fiom, Uilm e Usb, in sciopero e presidio davanti al ministero per dire che Arcelor Mittal se ne deve andare: “Lo diciamo chiaramente – spiega Francesco Brigati segretario della Fiom Cgil – Mittal non è idonea per una trasformazione di quella fabbrica. Ha procurato solo cassa integrazione e licenziamenti, e nulla di buono dal punto di vista ambientale”. Posizione analoga da parte della Uilm: “Ci aspettiamo che lo Stato prenda il controllo dell’Ilva – dice Rocco Palombella prima del vertice – dopo averci messo 400 milioni negli anni scorsi, perché questa è l’unica condizione per salvarla”. Milioni a cui ne vanno aggiunti ora altri 680 pubblici su 750 complessivi, necessari per ripatrimonializzare l’azienda e andare avanti.
Al termine dell’incontro lo stesso Palombella va dai manifestanti: “Non ho parole. Sembrava una trattativa che non riguarda i lavoratori, si è parlato di tutto tranne che dei livelli occupazionali, delle prospettive, del dramma che vivono gli operai, compresi quelli degli appalti, in cig da marzo senza prospettive. Uno scenario indescrivibile. C’era l’accordo del 2018, ora ci dicono che non esiste più. Invece dobbiamo chiederne il rispetto, davanti alla magistratura e con le lotte”.
Interviene anche il segretario generale Fiom, Michele De Palma: “Il governo poteva gestire l’azienda, ci ha risposto che non vuole farlo”. Quanto al nuovo accordo di programma, De Palma replica: “La legge sugli accordi di programma ad oggi non prevede alcun ruolo delle organizzazioni sindacali. Non siamo disponibili ad andare su quella strada, siamo disponibili a discutere l’accordo di programma soltanto nel momento in cui si discuterà del futuro dello stabilimento, degli impianti, dell’occupazione”. Si andrà dunque avanti con gli scioperi e le iniziative di lotta: “Va riaperta la discussione sui volumi produttivi, perché 4 milioni di tonnellate nel 2023 e 5 nel 2024 sono insufficienti, e per l’applicazione dell’accordo del 2018”.

* Fonte/autore: Riccardo Chiari, il manifesto



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