Europa. Croazia nell’Unione, la frontiera contro i migranti si sposta a Sud

Europa. Croazia nell’Unione, la frontiera contro i migranti si sposta a Sud

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 Reportage dall’Istria: terra grigia all’interno, e rossa verso il mare

 

Pur aderendo all’Unione Europea già dal 2013 in Croazia erano rimasti i controlli alle frontiere interne. Fino al primo gennaio quando la repubblica è entrata nell’area Schengen e contemporaneamente ha adottato l’euro. Adesso il muro anti-migranti si è spostato a sud e la Croazia ne è il custode ultimo a nome dell’Europa. Intanto si festeggia, in Croazia come in Slovenia, con i primi ministri e i presidenti delle due repubbliche sotto lo sguardo soddisfatto dell’Europa.

Il primo ministro croato Andrej Plenkovic ha accolto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen davanti ad un bancomat ha prelevato euro nuovi di zecca e l’ha accompagnata in Slovenia a prendersi un caffè. Liberi di muoversi, liberi di scambiare la stessa moneta, almeno loro. C’è ottimismo in Croazia, l’abolizione dei controlli alle frontiere occidentali vuol dire snellimento del traffico, più facilità di movimento e, quindi, ancora più turismo, il suo forziere.

Cerimonie e parole di circostanza, tutto bello: il primo ministro Plenkovic ha parlato anche di protezione delle frontiere ai confini esterni con Serbia, Bosnia e Montenegro, ma «senza erigere fili e prigioni». Chissà.
Sono comunque giorni di una bella euforia e sembra proprio vero che ogni barriera che crolla è un passo avanti. Probabilmente solo chi vive un confine, o l’ha vissuto, può capire quel sentimento che si prova appena sparisce un filo spinato, un cancello, un posto di blocco. E questo vale in particolare per l’Istria, divisa tra Slovenia e Croazia dove il primo gennaio è stato un giorno di festa. Perché l’Istria è sempre stata penisola multietnica, terra grigia all’interno e rossa verso il mare, una storia millenaria di immigrazioni, cento dialetti che si scambiano vocaboli e assonanze, porti veneziani e città illiriche, rocce bianche e pinete che si allungano nel mare.
Una terra come rare altre, economicamente arricchita e culturalmente sfregiata negli ultimi decenni dai luna park turistici, dove scompare il pesce e si moltiplicano gli allevamenti intensivi ma che ancora ricorda e mantiene i segni di una particolare storia comune. Territorio di scambi, di mescolamenti, di frequentazioni, quasi annichilito dalle tragedie sanguinose del XX secolo, tornato accogliente e ricco negli anni della Jugoslavia con un continuo via vai di lavoratori, acquirenti, turisti, da una parte e dall’altra di quella che aveva smesso di essere una cortina di ferro.

Diversa dal resto della Croazia per tante cose, la dissoluzione della Jugoslavia per l’Istria era stato un trauma: una piccola parte costiera alla Slovenia e la gran parte della penisola alla Croazia, un confine marittimo ancora oggi indefinito con contenziosi che rimbalzano, sentenze che non vengono applicate e multe appioppate ai pescherecci a seconda del momento. L’Istria con ancora la bandiera bianca rossa e blu ma con gli stemmi nazionali: quello sloveno con il monte Triglav e quello a scacchi bianchi e rossi croati. Confini segnati dividendo alla bell’e meglio zone linguisticamente diverse. Eppure l’Istria è rimasta una enclave particolare, la sua gente ha pagato già abbastanza per le guerre e i nazionalismi e ne conosceva l’insensatezza: il nonno nell’esercito austroungarico, il papà in quello italiano e poi un figlio militare jugoslavo e adesso il nipote nell’esercito sloveno o in quello croato.
In un posto come questo la caduta di un confine non può che essere davvero una festa, comunque poi vada. Ci crede la gente più che la politica che è sempre tanto più lenta, spesso proprio sorda. Ed è stato così nella notte di Capodanno in Istria, sul confine che non esiste più. Ci si è ritrovati tra sloveni, croati e anche la forte comunità italiana perché di nuovo l’Istria è riunificata, senza più controlli di polizia, aperti cento passaggi stradali e pedonali, non più dogane, passaporti, dazi. Sono arrivati anche triestini, quelli di buona volontà, felici di ritrovare un territorio che è sempre stato una specie di loro periferia e che conoscono bene: adesso si potrà andare senza intoppi da casa fino all’Ungheria. C’erano i sindacati italiani sloveni e croati per festeggiare la semplificazione dello spostarsi quotidiano dei lavoratori frontalieri, che sono tanti, per ribadire la necessità che si irrobustisca un quadro giuridico ancora incerto che discrimina e certo non incoraggia l’emersione dal sommerso di molti rapporti di lavoro.

Il sindaco di Buzet ha portato la banda cittadina, i vignaioli hanno offerto malvasia e terrano e succo di mela, chi aveva con sé uno strumento ha suonato e si è andati da un valico all’altro per scambiarsi gli auguri. Il parroco di Umag, già insegnante di teologia a Fiume, in una sua intervista al quotidiano in lingua croata Glas Istre ha ricordato: «L’Istria è sempre stata multiculturale e questo è il suo destino storico. Non c’è alternativa. O l’Istria sarà aperta al dialogo con tutti, oppure si chiuderà in un guscio senza prospettive».

* Fonte/autore: Marinella Salvi, il manifesto



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