Ucraina. In arrivo i missili Patriot, per Mosca è guerra per procura

by Ester Nemo * | 23 Dicembre 2022 9:38

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Zelensky torna dagli Usa con la super batteria missilistica, voleva molto di più. Putin accusa Washington, poi se la prende con Atene. Associated Press: scoperte altre 10.300 sepolture a Mariupol

 

A poche ore dalle 18 standing ovation del Congresso statunitense al discorso del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il Cremlino ha avviato alla spicciolata la sua reazione.

Una reazione muscolare, seppur a parole, come muscolare è stato il viaggio lampo di Zelensky, il primo all’estero dal 24 febbraio scorso, inizio dell’invasione russa. Il Congresso Usa è stato il primo ad ascoltare le parole del leader ucraino dal vivo, lo ha applaudito, tutti in piedi compresa la vice presidente Kamala Harris.

POCO PRIMA di paragonare la resistenza ucraina alla guerra Usa al nazifascismo (un suo marchio di fabbrica che cambia a seconda del parlamento a cui si rivolge), Zelensky si era chiuso nello Studio ovale con il capo della Casa bianca, Joe Biden, da cui aveva ottenuto un po’, non abbastanza.

Era arrivato con in mano quella che la stessa Kiev aveva battezzato «la lista dei desideri per Natale», armi necessarie a puntellare la controffensiva. È ripartito solo con i Patriot.

Non che una batteria dei missili più avanzati del mondo sia poco. Né pochi sono i 47 miliardi di dollari di aiuti che – nonostante i crescenti mal di pancia tra Repubblicani e opinione pubblica – il Congresso post-midterm voterà appena insediato, ultimo di una lunga serie di pacchetti finanziari e militari destinati a Kiev per un totale di 50 miliardi.

Ma c’è chi sottolinea – Washington Post in testa – la «prudenza» statunitense (sottolineata dallo stesso Zelensky che in conferenza stampa ha detto chiaramente che di super missili ne voleva di più).

Non ha comunque attecchito a Mosca: «I nostri avversari presumono che sia un’arma difensiva. Bene, lo terremo a mente. E poi c’è sempre un antidoto», il commento di un Putin particolarmente bispensante perché di lì a poco ai giornalisti ha tenuto a dire che la Russia «vuole porre fine alla guerra…tutti i conflitti armati finiscono in un modo o nell’altro con un qualche tipo di negoziato. Prima i nostri rivali arrivano a capirlo, meglio è».

HA ANCHE TENUTO a dire che i suoi S-300 sono meglio dei Patriot, quel sistema missilistico che ieri ha fatto volare gli stracci con Atene, intenzionata – pare – a girare a Kiev batterie S-300 russi: «Una grave violazione che avrà conseguenze», ha avvertito il ministero degli Esteri russo.

Poco prima di Putin a parlare era stato il suo portavoce, Peskov: la fornitura della batteria missilistica «non favorisce la fine della guerra in tempi rapidi», ha detto (per questo, aggiunge, sarà considerata obiettivo legittimo), una «guerra per procura che gli Stati uniti stanno conducendo contro la Russia fino all’ultimo ucraino».

E mentre il G7 ieri metteva sul tavolo un ulteriore pacchetto a favore dell’Ucraina da 32,7 miliardi di dollari per il 2023, reazioni al viaggio di Zelensky arrivavano anche da Bruxelles, seppur indirette: ieri l’Unione europea ha annunciato che il 3 febbraio il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen incontreranno il leader ucraino in luogo ancora da definire, riaprendo così al processo di adesione alla Ue di Kiev, lungo e tortuoso ma che fa comodo ricordare, grimaldello politico per un’influenza europea nel paese, seppur fumosa.

Nell’attesa Zelensky si stringe al presidente polacco Duda, non proprio un esempio di democrazia: lo ha visto ieri di rientro da Washington per parlare di «relazioni bilaterali future».

INTANTO IN UCRAINA la guerra non accenna a frenare la sua brutalità. A darne conto è un’inchiesta dell’Ap che ha potuto visionare immagini satellitari raccolte tra marzo e dicembre: almeno 10.300 le nuove sepolture scoperte a Mariupol, per lo più nel cimitero di Staryi Krym.

La guerra non frena e mette a fuoco gli obiettivi. A darne conto ieri è stato il capo di stato maggiore russo, Valery Gerasimov, che ha definito «stabile» – in modo piuttosto ottimistico – la linea del fronte e annunciato di voler concentrare le forze sulla «completa liberazione del Donetsk».

Nelle stesse ore sul campo – non è dato sapere dove – si palesava il ministro della Difesa di Mosca, Sergei Shoigu, in visita alle truppe il giorno dopo l’annuncio di voler incrementare del 30% il numero di effettivi dell’esercito (da 1,15 milioni a 1,5). La guerra non la vuole terminare nessuno.

* Fonte/autore: Ester Nemo, il manifesto[1]

 

 

ph by Hunini, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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