Reddito di schiavitù: i poveri obbligati a qualsiasi lavoro e ovunque
WORKFARE ALL’ITALIANA. Gli effetti delle modifiche al “reddito di cittadinanza” contenute in quattro emendamenti alla legge di bilancio. Eliminata la «congruità» dell’«offerta di lavoro» ai beneficiari del sussidio. La furia delle destre contro gli «occupabili». A Napoli e a Palermo cortei e proteste: “Senza lavoro il reddito non può essere tolto”
È pieno il bottino della caccia al povero lanciata dal governo dell’estrema destra leghista e post-fascista. Nella legge di bilancio, quando vedrà la luce, sarà ridotta di un mese, da agosto a luglio 2023, l’erogazione del cosiddetto «reddito di cittadinanza» a 600 o 800 mila persone ritenute «occupabili»; sarà eliminata la «congruità» dalla prima e unica offerta di lavoro che riceveranno nei prossimi mesi pena la perdita del sussidio; sarà stabilito l’obbligo di versare l’affitto direttamente al locatore; saranno puniti i «Neet» tra i 18 e i 29 anni che percepiscono il sussidio e non svolgono un corso di formazione.
I QUATTRO EMENDAMENTI che si accaniscono sulle spoglie di una misura programmaticamente inefficace (raggiunge il 44% dei «poveri assoluti» a causa dei «paletti» fiscali e patrimoniali imposti nel 2019) sono stati proposti dai «moderati» di Maurizio Lupi, da Fratelli d’Italia e sponsorizzati dal ministro leghista all’«umiliazione e al merito» Giuseppe Valditara. Ne abbiamo già scritto su Il Manifesto del 13 dicembre, ora sembrerebbe (il condizionale è ancora d’obbligo) una realtà rivendicata con soddisfazione da diversi esponenti della maggioranza e del governo.
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IL PRIMO EMENDAMENTO ridurrà, dunque, di un mese il «reddito di cittadinanza» giusto in tempo per costringere ad andare a lavorare in nero e sottopagati sulle spiagge e nei ristoranti in estate. Il secondo emendamento sopprimerà il contestato, e vago, concetto di «congruità» dell’offerta del lavoro che un beneficiario del «reddito» potrebbe forse ricevere. Se, da gennaio e fino a luglio, rifiuterà tale «offerta» allora perderà il diritto al «reddito». Se invece l’accetterà, allora sarà costretto a muoversi su tutto il territorio nazionale, ad esempio fino a mille chilometri di distanza dalla residenza.
ECCO COME DOVREBBE FUNZIONARE (ma non sarà mai così). Una persona è ritenuta «abile al lavoro» perché ha firmato un «patto» di 18 mesi con il centro per l’impiego. In molti casi è stata lontana per anni dal mercato del lavoro. È priva di «curriculum», dicono i teorici del «capitale umano». Non conta. Dovrà fare i bagagli. Sempre che un’impresa lo voglia. E lui sia in grado di svolgere un lavoro specifico on demand. Anche questo governo ritiene che basti un corso di «formazione» per rendere le persone pronte all’uso. Come una merce, un semi-lavorato, un manichino che può essere «riattivato». Illusioni della teoria delle «politiche attive del lavoro», ciò che si chiama in realtà Workfare.
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IN TEMPI DI AMNESIE populiste anche a sinistra va ricordato che questa forma di violenza sociale era già prevista dalla legge della Lega e dei Cinque Stelle varata nel 2019, quella che oggi viene di solito apprezzata dal pauperismo perché avrebbe «fatto il bene dei poveri». Certo, ma solo perché è nei fatti un reddito di base, per nulla incondizionato. E infatti ora lo stanno cambiando. Come le destre oggi, anche i pentaleghisti quattro anni fa avevano ipotizzato di obbligare i «redditisti» a emigrare e a pagare per lavorare. Secondo voi chi paga l’affitto in un’altra città? E le spese del caro-vita? Tale eventualità era stata prevista solo dopo una terza, implausibile, «offerta di lavoro». Allora si era fiduciosi nella capacità del «mercato» di «produrre» due «offerte congrue»: la prima entro 80 chilometri da casa (per un «posto di lavoro» raggiungibile in 100 minuti), la seconda entro i 250 chilometri. Eliminando la «congruità» salta tutto. Non avere previsto, ed evitato, lo scempio è responsabilità politica di chi ha creato questo sistema, a cominciare dai 5 stelle. E poi dai loro ex alleati del Pd.
IL GOVERNO MELONI resta convinto che un’altra «riforma», annunciata per gennaio dalla ministra del lavoro Marina Calderone, farà resuscitare l’automa del mercato. Anche questo esecutivo sperimenterà, a spese dei precari e dei poveri, un altro fallimento. Consapevole, forse, di questo rischio Calderone ieri ha riconosciuto che l’«offerta di lavoro» non sarà «congrua», ma «accettabile». Criterio altrettanto indeterminato che non serve ad evitare di degradare la dignità umana. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, invece, si è scatenato. E ha rivelato ieri il retroterra di tipo fisiocratico di queste idee. La «congruità è un fattore naturale» ha detto.
COME PER LO PSEUDO-concetto di «occupabile» anche quello di «congruo» è una convenzione decisa dal governo di turno. Sono idee che nascono quando il capitale è ritenuto una «legge di natura». E i «poveri» sono i legni storti da correggere con la gogna e con la forca.
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«Di fronte alla crisi e a un governo che invece della guerra alla povertà fa la guerra ai poveri, al reddito di cittadinanza, ai precari, mentre investe altri miliardi in guerre e armamenti non possiamo stare a casa». Lo ha sostenuto ieri in piazza a Napoli il movimento dei disoccupati. Un’altra manifestazione contro il governo si è svolta a Palermo. «Chi parla nei Palazzi o negli studi Tv ha la pancia piena, non conosce la realtà. Perché non si fanno un giro nei quartieri popolari di Palermo? O si garantisce un’offerta di lavoro valida, con un salario dignitoso e un contratto regolare o il reddito non può essere tolto».
* Fonte/autore: Roberto Ciccarelli, il manifesto
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