La protesta curda risveglia Parigi: «Ci vendicheremo con la rivoluzione»
A tre giorni dall’attacco, la storia del centro “Ahmet Kaya” e delle tre vittime. L’attentatore William K., in custodia, inizia a parlare. E la Turchia convoca l’ambasciatore francese: «Fate propaganda al Pkk»
«La nostra vendetta sarà la rivoluzione delle donne». Recitava così lo striscione che ieri apriva il lungo corteo della comunità curda in una fredda Parigi di pieno inverno.
Erano a migliaia a tre giorni dall’attentato che ha tolto la vita a tre membri del centro culturale «Ahmet Kaya», nel decimo arrondissement della capitale francese.
HANNO MARCIATO tra le bandiere delle unità curde Ypg e Ypj della Siria del nord-est, quelle viola del movimento delle donne e le foto delle tre vittime, insieme a quelle delle tre donne che il 9 gennaio 2013 furono giustiziate con un colpo alla testa nella stessa zona, la co-fondatrice del Pkk Sakine Cansiz, la membra del Knk Fidan Dogan e la componente del Movimento giovanile curdo Leyla Saylemez.
Anche stavolta a cadere sotto colpi di armi da fuoco sono state persone che alla causa del proprio popolo avevano donato anni di vita: Emine Kara (nome di battaglia Evîn Goyî), membra del consiglio esecutivo del Kck, l’Unione delle Comunità del Kurdistan, ed ex combattente delle Ypj in Rojava; il musicista Sirin Aydın, noto come Mîr Perwer, fuggito dalla Turchia dopo una condanna a 20 anni con l’accusa di appartenenza a organizzazione terroristica; e Abdurrahman Kızıl, attivista di 60 anni, da tanti considerato una delle memorie viventi del centro.
«Ahmet Kaya era un famoso musicista curdo. È morto a Parigi dove aveva trovato rifugio, in autoesilio dopo che le autorità turche lo avevano condannato al carcere – racconta al manifesto Yilmaz Orkan, responsabile di Uiki, l’ Ufficio informazione del Kurdistan in Italia – Quel centro è dedicato a lui, un luogo aperto oltre 20 anni fa, un posto tranquillo frequentato da francesi ma soprattutto da tanti dei 150mila curdi che vivono a Parigi, vecchia e nuova immigrazione».
«ASPETTIAMO l’autopsia – continua – poi faremo una commemorazione europea a Parigi. A Roma stiamo organizzando un piccolo presidio davanti all’ambasciata francese perché vogliamo che la Francia rispetti le promesse dei ministeri di interni e difesa: un’inchiesta seria».
Yilmaz dà voce alle comunità curde nel mondo, convinte che «non si sia trattato solo di razzismo: in modo più o meno diretto c’è dietro la mano dei servizi segreti turchi. L’attentato è avvenuto troppo vicino al decennale dell’uccisione di Sakine, Leyla e Fidan. Il fascicolo dell’inchiesta sulla loro uccisione è ancora chiuso, non c’è stata trasparenza da parte francese, nemmeno nei confronti delle famiglie delle tre vittime».
La marcia silenziosa di Parigi lo ha ribadito: vogliamo verità, il più rapidamente possibile. Al momento però i dettagli sull’attentatore compaiono sulla stampa con parsimonia: William K., lo chiamano, ha 69 anni ed è francese, è un amante delle armi e un «odiatore patologico dei non europei».
È così che si sarebbe definito davanti alle autorità che lo hanno posto in custodia venerdì con l’accusa di omicidio con l’aggravante del razzismo e tentato omicidio.
Ieri è comparso davanti al giudice dopo aver spiegato agli inquirenti il suo piano: uccidere più migranti possibile e poi togliersi la vita. All’inizio l’obiettivo era il quartiere nord di Parigi, Seine-Saint-Denis, casa a un’ampia popolazione migrante. Ma c’era poca gente a portata di mano.
Così, ha cambiato idea: nel mirino il quartiere parigino tradizionalmente legato alla comunità curda. Ha ucciso tre persone, puntando la sua pistola tra il centro culturale e un salone di parrucchiere.
LA RABBIA, esplosa subito dopo la sparatoria con scontri in strada tra manifestanti e polizia, non accenna a spegnersi. Perché non si spengono i focolai di tensione: l’odio seminato dall’ultradestra xenofoba francese e la campagna imbastita dal governo turco, che dipinge i centri culturali curdi in giro per l’Europa come fucine del «terrorismo» intorno a cui fare terra bruciata.
Basta la reazione di Ankara: ieri il ministero degli esteri turco ha convocato l’ambasciatore francese per protestare contro la solidarietà espressa da diversi esponenti politici francesi alla comunità curda: per la Turchia non era solidarietà, ma «propaganda» a favore del Pkk.
* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto
Photo by ANF News
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