Diritti. Amnesty International: «Un anno nero, il mondo si ribelli»
Parla Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia: «Nel nostro Paese la cultura dei diritti umani è scarsa. E ora, finita una legislatura molto timida, è cominciata un’altra in cui si rischia di fare molti passi indietro. Sotto attacco il diritto alla protesta pacifica. L’Italia e l’Europa convochino gli ambasciatori iraniani»
Il sito di Amnesty International si apre in questi giorni con i visi di sette giovani la cui vita è in pericolo solo perché «credono in un mondo più giusto». È il lancio della maratona Write for Rights, per «liberare subito» donne e uomini che «lottano per tutti», come l’artista cubano Luis Otero Alcántara, rinchiuso dal 2021 nel carcere di massima sicurezza di Guanajay in quanto dissidente, o della russa Aleksandra Skochilenko, anche lei artista, detenuta in attesa di processo da 9 mesi in condizioni terribili per un’azione di protesta contro la guerra in Ucraina, o Joanah, Netsai e Cecillia, donne che il regime dello Zimbabwe ha torturato terribilmente per il solo fatto di aver protestato. E ancora: Nasser Zefzafi, marocchino, torturato e condannato a 20 anni per aver criticato un’autorità religiosa, e l’iraniano Vahid Afkari, in carcere dalla manifestazione pacifica del 2018. Non a caso, l’organizzazione internazionale da luglio scorso è impegnata con la campagna «Proteggo la protesta». Perché, per chi esprime dissenso, è stato – come spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia – «un anno nero».
Un 10 dicembre amaro?
Molto, con la guerra che è arrivata in Europa e che prosegue in Paesi come l’Etiopia, con tutto il suo carico di stupri etnici, crimini di guerra e contro l’umanità. È stato un anno in cui il diritto alla protesta pacifica – previsto nella Dichiarazione universale dei diritti umani che oggi si celebra nel suo 74esimo anniversario – è stato sotto attacco. Come in Iran e in Afghanistan. dove per tutto l’anno le giovani delle medie e dei licei non sono andate a scuola, e i talebani hanno ripreso le esecuzioni negli stadi. In Russia sono state adottate nuove norme che prevedono carcere per reati di opinione, quali la diffusione di notizie consapevolmente «false» sull’operato delle forze armate russe; venerdì Ilya Yashin è stato condannato a 8 anni e mezzo per aver scritto che i russi hanno commesso crimini a Bucha, e ci sono centinaia di indagini e processi in corso in Russia per questo tipo di reati. In Israele è stato l’anno peggiore dal punto di vista dei palestinesi uccisi: 130, un numero mai così alto dal 2005, e ci sono più di 500 palestinesi in detenzione amministrativa senza possibilità di ricorrere contro le accuse, che sono segrete. E poi naturalmente l’Iran, che è la storia del giorno, perché oltre a questa repressione di piazza spaventosa, con oltre 400 morti e 44 minorenni uccisi di cui uno aveva due anni e un’altra 6, sono iniziate le rappresaglie per via giudiziaria. Un manifestante è stato impiccato e ce ne sono almeno altri 30 che rischiano l’impiccagione.
Le sembra che sull’Iran ci sia una sorta di timidezza da parte dell’Italia e dell’Europa a esercitare pressione?
Ho questa sensazione, naturalmente i comunicati stampa e le dichiarazioni di condanna, come quella della presidente Meloni, vanno bene. Purché il giorno dopo non ci si dimentichi di averli fatti. Noi abbiamo chiesto alle ambasciate presenti in Iran di fare una cosa molto semplice: mandare osservatori ai processi dei dissidenti, un segnale di presenza fisica in quelle che sono solo parodie di giustizia. Ci aspettiamo che l’Italia lo faccia. E che, come ha fatto solo la Germania finora, convochi l’ambasciatore iraniano. L’Onu, dal canto suo, ha istituito una commissione di inchiesta, come avevamo chiesto noi, ma il tempo passa e non è stata ancora formata. È evidente che le autorità iraniane stanno aspettando di capire quanto sia forte la reazione del mondo alle impiccagioni per decidere se andare avanti. E se le proteste sono blande, andranno avanti.
Ieri a Roma la manifestazione indetta dal Partito radicale a sostegno della popolazione iraniana, a cui avete partecipato anche voi, ha raccolto l’adesione di personalità come Vasco Rossi, Rocco Papaleo, Don Luigi Ciotti, Susanna Camusso… Ma pochi partecipanti.
C’erano tre iniziative, ieri a Roma, e un tempo inclemente… Non ha aiutato. Però andranno avanti, continueremo a farci sentire.
Qual è lo stato dei diritti in occidente e in Italia?
Negli Usa, dopo anni consecutivi in cui si era registrata una diminuzione delle esecuzione capitali, quest’anno sono di nuovo aumentate, e questo è un altro brutto segno. Stati Uniti, così come Polonia e altri Paesi, hanno portato a termini attacchi contro i diritti delle donne e i diritti sessuali riproduttivi. Continuano le politiche di chiusura contro l’immigrazione, sempre più feroci. Quest’anno l’Italia ha deciso di rinnovare il memorandum del 2017 di cooperazione con la Libia. E poi ci sono diritti al palo, come quelli del fine vita, della libertà di protesta o dell’interruzione di gravidanza. In generale, nel nostro Paese la cultura dei diritti umani è scarsa, e ora, finita una legislatura molto timida, è cominciata un’altra in cui si rischia di fare molti passi indietro.
* Fonte/autore: Eleonora Martini, il manifesto
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