by Federico Nastasi * | 31 Dicembre 2022 9:41
Domani, primo gennaio, l’inaugurazione della nuova presidenza tra artisti e poliziotti. E un governo-ponte di socialisti e conservatori: la parte del leone la fa il Pt con i ministeri legati a welfare e terre, ma con un occhio all’agrobusiness
BRASILIA. Il Brasile ricomincia da Lula: a centinaia di migliaia, domani primo gennaio, nuovo anno per un nuovo inizio, festeggeranno a Brasilia l’inaugurazione della presidenza di Luiz Inacio Lula da Silva e la sua ascesa a Palácio do Planalto.
Con loro anche 17 capi di stato, 53 delegazioni straniere, 8mila agenti di polizia e mille federali (livello massimo di sicurezza, visto il tentativo di attentato per mano di un bolsonarista, sventato pochi giorni fa: la storica parata in strada è in forse, se si farà Lula sarà chiuso in un’auto blindata).
Chi non ci sarà è Jair Bolsonaro, presidente uscente, che rompe la tradizione: dopo mesi di silenzio, diserterà la cerimonia e non consegnerà al successore la fascia. Più di una voce lo dà in viaggio per Mar-a-Lago, in Florida, dove ha il suo quartier generale l’amico Trump.
Si perderà i due palchi giganti previsti in piazza e la sessantina di artisti che si esibiranno per il terzo mandato dell’ex sindacalista, passato dalla presidenza alla prigione dove ha trascorso 580 giorni per quello che fu il complotto giudiziario della Lava Jato.
IN ATTESA DELLA FESTA di domani, è completa la squadra di governo che accompagnerà Lula nel prossimo quadriennio alla guida del Brasile. Con le nomine, presentate lo scorso 29 dicembre, si definisce il quadro dei 37 ministri. Tra questi, undici donne, la presenza femminile più grande di sempre.
Appartengono a nove partiti, undici sono indipendenti. La parte del leone la fa il Partito dei Lavoratori (Pt), il partito del presidente, con dieci dicasteri. Tra questi: le finanze, la Banca per lo sviluppo economico Bndes (una specie di Cassa Depositi e Prestiti), lo sviluppo sociale (a carico dei programmi sociali simbolo del Pt, come Bolsa Familia), l’agricoltura familiare (un segnale per i lavoratori agricoli Sem Terra del Mst), l’istruzione e il lavoro.
Agli esteri, la nomina del mandarino Mauro Vieira, diplomatico di carriera. Dovrà riportare il Brasile nella posizione classica di neutralità attiva, partner affidabile ed equidistante dalle grandi potenze. La difesa dell’Amazzonia sarà uno dei biglietti di visita del Brasile verso il mondo.
In quest’ottica vanno lette le nomine di Marina Silva all’ambiente e di Sônia Guajajara come ministra dei popoli indigeni. Quest’ultima, discendente dell’etnia Guajajara, occuperà un dicastero creato ex novo, una promessa fatta ai popoli originari, che sperano in un cambio di rotta nelle politiche industrialiste del Pt.
Altre due nomine rappresentano una rottura con il passato. Anielle Franco, Ministra all’uguaglianza razziale, sorella di Marielle Franco, consigliera comunale di Rio de Janerio uccisa nel 2018. E il brillante avvocato afrodiscendente Silvio Almeida ai diritti umani. Il suo primo atto: la creazione della segreteria per i diritti delle persone Lgbt+.
IL MINISTRO DELLA DIFESA, José Múcio, è un messaggio di dialogo alle forze armate, per cercare di riportare la relazione sul terreno istituzionale, dopo le strumentalizzazioni bolsonariste. La relazione con gli uomini in divisa è un terreno minato per il nuovo governo. Per questo, va tenuto d’occhio il lavoro del ministro della giustizia e sicurezza, Flavio Dino.
Ex governatore di Maranhão, politico di sinistra di lungo corso, si è già distinto per le iniziative di sgombero degli accampamenti bolsonaristi, «incubatori di terroristi» li ha definiti. E ha già annunciato la regolarizzazione del mercato delle armi. Dino viene dal Partito socialista brasiliano (Psb), lo stesso del vice presidente e ministro dell’industria, Geraldo Alckmin, il ponte di Lula con i settori più conservatori.
E poi ci sono i debiti da saldare con gli alleati dell’ultima ora. Nove ministeri vanno ai partiti di centro e di destra indispensabili per governare il Congresso, dove il neo presidente è in minoranza.
TRA QUESTI, la nomina più rilevante è senz’altro quella di Simone Tebet, ministra della pianificazione economica. Tebet, ex senatrice, rappresentante dell’agrobusiness, si è opposta alla gestione del Covid-19 di Bolsonaro. Si dice che pensi in grande, che punti alla presidenza della Repubblica.
Ci ha già provato quest’anno, si è fermata al 4,1% e al secondo turno ha sostenuto Lula. Il suo collega di partito, il ministro dell’agricoltura Favaro, viene da Aprosoja, associazione degli imprenditori della soia, uno dei principali prodotti di esportazione brasiliana.
Il bilancio? «È un governo normale – afferma il giornalista Lucas Rohan – Farà cose buone, decenti e pessime. Ma dopo quattro anni di Bolsonaro, tornare alla normalità è un sogno». «Lula dice che non è vendicativo. Ma certo non dimentica il passato – ragiona un funzionario di un’organizzazione internazionale, che preferisce rimanere anonimo – La nomina di Haddad alle finanze significa che non vuole cedere i cordoni della borsa».
QUEL MINISTERO era in cima ai desiderata della parte centrista della coalizione. «La borsa non ha gradito la sua nomina, la svalutazione del real che ne è seguita era un segnale chiaro», spiega l’economista.
Haddad, ex sindaco di San Paolo e ministro dell’educazione nei governi Lula, intende difendere i programmi sociali del Pt. E una buona notizia l’ha ricevuta pochi giorni dal Supremo Tribunal Federal, che ha stabilito che Bolsa Família, sussidi condizionati per le famiglie povere, non sarà conteggiata nei limiti di spesa imposti dal teto de gastos, una norma che limita la spesa pubblica fino al 2036 e che si può aggirare solo con il voto del Congresso. La relazione con il Congresso e la convivenza nella coalizione di governo sono le pietre d’inciampo nel cammino di Lula.
«Ma Lula è un alchimista della politica, troverà la formula magica per far convivere questa torre di Babele che è la sua coalizione. Che d’altronde, senza di lui, non sarebbe unita. Questa presidenza è il suo commiato dalla vita pubblica. Si preoccuperà più della storia che della contingenza o della scelta di un successore, come aveva fatto in passato», conclude Lucas Rohan.
* Fonte/autore: Federico Nastasi, il manifesto[1]
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