Roma. Le mille voci del pacifismo in marcia

Roma. Le mille voci del pacifismo in marcia

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Più di 100 mila sfilano a Roma fino a piazza San Giovanni: «Diversi ma uniti, la fraternità unica arma per battere chi vuole la guerra»

 

«Vorrei dire al Viminale che oggi qui ci sono più di cinquanta persone radunate». La battuta la fa Maurizio Landini. Intervento che strappa una risata e chiude la manifestazione per la pace di ieri a Roma. Più di 100mila persone da tutta Italia sono arrivate in treno, autobus, auto in piazza della Repubblica dove la coalizione «Europe for Peace» ha chiamato a raccolta un movimento ampio e persino disomogeneo (tanti i fischi al Pd di Enrico Letta) ma che ha rilanciato la partecipazione come sasso lanciato nello stagno melmoso della rassegnazione della società italiana. Un movimento che si impone chiedendo a gran voce negoziato subito, cessate il fuoco, Conferenza di pace sulla guerra ucraina.

La piazza, a pochi passi dalla stazione, si riempie subito. E verso l’una muove i primi passi con puntualità svizzera. Ma la testa di un corteo lungo chilometri parte solo alle 13.15 quando arriva Gualtieri, il sindaco di Roma, e un funzionario di polizia dà luce verde: «Ora – dice alle pattuglie nel microfono – c’è pure il sindaco e si può partire».

LA TESTA DEL CORTEO, un tripudio di bandiere che rappresentano un po’ tutte le sigle che hanno organizzato la manifestazione, imbocca via Cavour con lentezza. E bisogna aspettare due ore perché gli ultimi di piazza della Repubblica, con uno striscione bianco con la parola pace in molte lingue, possano partire in marcia. La testa intanto è già arrivata a San Giovanni, una piazza molto ampia che fatica a contenere il “popolo della pace”. Un popolo variegato, che ha aderito alla piattaforma di «Europe for Peace» ma non rinuncia però ai suoi cartelli e ai suoi distinguo. Come sulla vicenda delle armi a Kiev, capitolo divisivo e che nella piattaforma non c’è.

MA NON C’È NEMMENO un clima da buttafuori in un corteo che sembra voler ricordare altre tempi. Nessuno fa questione nemmeno a una bandiera del Pci nuova di zecca, ben diversa da un vecchio stendardo del Psi un po’ stazzonato col sole nascente e la falce e il martello.

Il corteo parte sulle note di Bella Ciao e subito si nota la presenza forte della Cgil che marcia nelle prime file e che dimostra lo sforzo organizzativo del sindacato in tutta Italia: metalmeccanici, ferrovieri, pensionati, consigli di fabbrica.

FA STRANO VEDERE il mitico «servizio d’ordine» della Cgil scortare il primo striscione sorretto da boyscout. Seguono le bandiere dell’Unione degli universitari, uno dei rari spezzoni a forte componente giovanile. Poi il Movimento non violento, l’associazione delle Ong italiane, Mir, Libera. Seguono le Acli, presenza forte con molti palloncini e bandiere bianche seguite da quelle blu di Sant’Egidio. In mezzo c’è Banca Etica. Dopo Legambiente arriva il camion dell’Arci, una gigantografia di Guernica circondata da palloni rossi.

SONO GIÀ LE TRE meno un quarto e manca ancora un bel pezzo al resto del corteo ancora bloccato in Piazza Repubblica. Arriva Emergency e poi l’Anpi. E in mezzo ci sono le rappresentanze di chi soffre altre guerre: bandiere palestinesi ma anche iraniane. C’è un gruppo di Hazara, comunità perseguitata in Afghanistan, e un gruppo di birmane dell’associazione Italia-Birmania. Tra loro, come sempre, non mancano le suore. La loro presenza dà il senso di una solidarietà richiamata nella piattaforma di Europe for Peace con le vittime di «tutte le guerre». Il premio al miglior striscione va allo slogan pro-immigrati: «La miglior difesa è l’attracco».

La polizia resta una presenza discreta. Proprio come se Landini il suo messaggio l’avesse davvero mandato al Viminale. Un gruppetto di agenti a viso scoperto si mette in posa per l’obiettivo di un fotografo del National Geographic. Si dà da fare la polizia locale e il corteo arriva a San Giovanni puntuale per i discorsi di chiusura. Sono una decina e durano solo pochi minuti tranne gli ultimi tre. Al microfono si alternano per tre minuti, scelta oculata anche se risalta una modesta presenza femminile, a parte Lisa Clark (Ican), Raffaella Bolini (Arci), Rossella Miccio (Emergency) e Francesca Giuliani che legge la piattaforma.

Carico di tensione il racconto di Nicolas Marzolino (Vittime civili di guerra-Anvcg), mutilato da un ordigno inesploso. Un grazie alla piazza lo danno Flavio Lotti della Tavola della pace e Francesco Scoppola, capo scout dell’Agesci. Gianpiero Cofano ricorda la presenza costante in questi mesi delle carovane di StopTheWarNow. Giuseppe De Marzo (Forum Numeri Pari) aggiunge che «non c’è pace senza giustizia sociale e diritti» mentre Gianfranco Pagliarulo (Anpi) ricorda la presenza di atomiche a Ghedi e Aviano.

Scalda la piazza don Luigi Ciotti con un intervento nel quale la retorica è usata per lanciare concetti innovativi. «Noi siamo qui perché abbiamo la malattia della pace, per cercarla sono necessari conflitti nella nostra coscienza, una coscienza inquieta di dubbi, non di certezze. Sono i dubbi che aprono le porte al confronto, al dialogo: diffidate di chi ha troppe certezze. Noi dalla politica aspiriamo ad avere meno solidarietà e più giustizia sociale. Occorre pensare la pace per renderla possibile: si costruisce anche dal linguaggio, oggi ha troppa ferocia. I veri costruttori di pace sono i medici, le Ong, i religiosi che portano il vangelo non come credo ma come strumento di dialogo, i giovani che coltivano la terra sottratta alla mafia, le donne dell’Iran». Il fondatore di Libera conclude con due proposta: «Chiediamo una legge per creare il Dipartimento della difesa non violenta e un’opzione fiscale: se sei per la pace puoi destinare il tuo sei per mille a chi lavora per la pace».

SUL PALCO C’È UNA STRANA COPPIA: fianco a fianco ci sono il fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi con Maurizio Landini, l’unico con cravatta. Anni fa si sarebbe detto: il diavolo e l’acqua santa.

Andrea Riccardi prende il testimone stupito dalla piazza che ha davanti: «La pace deve essere possibile per l’Ucraina violentata dalla Russia. Ma la pace è stata archiviata da troppo tempo forse perché noi europei l’abbiamo data per scontata, forse perché è scomparsa la generazione che ha subito la Seconda guerra mondiale e la Shoah. Sento parlare di “pace come tradimento”, invece si tradisce la pace se la si considera in questo modo. La pace è impura, come ha detto il presidente Macron, perché nasce dalla guerra che è la cosa più sporca. Quella in Siria, che ancora continua, è stata la prova generale di quella ucraina. Oggi le guerre cominciano e mai finiscono e così i popoli si spengono: non lasciamo che il popolo ucraino si spenga». Lancia una proposta: «Apriamo corridoi per chi vuole abbandonare la Russia». Conclude il suo intervento rilanciando l’appello del papa per una «vera trattativa»: «La pace non è debolezza, la pace è di tutti: siate audaci».

IL COMIZIO FINALE tocca a Maurizio Landini, l’uomo che più ha mediato per allargare al massimo la manifestazione. «Siamo più di 50 ma non siamo pericolosi», scherza pensando al decreto Rave del governo ma poi il segretario della Cgil che parla «a nome del movimento sindacale» diventa subito serio: «Noi non vogliamo rassegnarci alla guerra, il mondo non può vivere senza la pace: non è retorica avendo alle spalle il ’900. Ci sono sommergibili nucleari in giro per il Mediterraneo, l’uomo sta mettendo a rischio la sua stessa esistenza». Per Landini «ora è il tempo della politica».

«La bellezza di questa piazza è l’unità, l’aver messo assieme tante diversità, questa è la piazza della fraternità». Poi arriva l’attacco a Calenda e Renzi: «Non hanno capito assolutamente nulla, non siamo equidistanti, siamo contro chi ha voluto questa guerra e difendiamo il popolo ucraino. Dopo 8 mesi se non riparte la diplomazia rischiamo una guerra nucleare». Poi torna sindacalista: «Il mondo del lavoro sta pagando sulla sua pelle questa guerra: aumentano le diseguaglianze e i poveri. Per questo non siamo utopisti ma, nel chiedere la pace, i più realisti». Lancia richieste precise: «Ratifica del trattato dell’Onu per eliminare le armi nucleari e gli investimenti in armamenti». Poi rilancia guardando al futuro: «Dobbiamo rivolgerci alle altre capitali per una manifestazione internazionale per la pace». E alla piazza dice: «Non so come chiamarvi: compagni, amici, fratelli. Non ci fermeremo finché non ci sarà la pace e il popolo ucraino potrà vivere in pace sulla propria terra».

* Fonte/autore: Emanuele Giordana, Massimo Franchi, il manifesto



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