Iran. Ragazza uccisa a bastonate, processi pubblici ai dissidenti
16 curdi uccisi nelle proteste della settimana scorsa. Arrestato l’ex calciatore Ali Daei
Parmis Hamnava è stata uccisa a bastonate a Iranshahr, una cittadina di centomila abitanti nella provincia del Sistan e Baluchistan, nel sudest dell’Iran al confine con il Pakistan dove in queste settimane gli scontri sono stati particolarmente cruenti. Aveva sedici anni e frequentava la scuola superiore intitolata a Parvin Etesami (1907-41), la famosa poetessa persiana che nel 1935 aveva accolto con favore il divieto, imposto da Reza Shah Pahlavi, di indossare il velo e nei suoi versi metteva in guardia da quegli ipocriti che usano la religione come strumento politico.
Per la giovane Parmis, e per tante altre iraniane, la poetessa era un esempio. Per questo, ha strappato dai libri di scuola le immagini dell’ayatollah Khomeini, il carismatico leader religioso che nel 1979 aveva fondato la Repubblica islamica.
SONO ORMAI 253 le persone uccise dalle forze di sicurezza della Repubblica islamica in questi 45 giorni di proteste. Parmis Hamnava è tra i 34 minori uccisi.
Secondo il sito IranWire, durante le manifestazioni della settimana scorsa nella provincia iraniana del Kurdistan sono stati uccisi almeno 16 curdi nelle città di Mahabad, Sanandaj, Baneh, Qasr-e-Shirin e Piranshahr. Si tratterebbe di 15 cittadini iraniani e di un iracheno che si era recato a Baneh per partecipare a un funerale. Di questi, tre sono donne e tre adolescenti. 14 persone sono morte per il fuoco delle forze di sicurezza, mentre un uomo è morto soffocato per i lacrimogeni.
Sono diverse migliaia gli individui arrestati tra cui Ali Daei, l’ex bomber che con la maglia dell’Iran aveva messo a segno 109 gol in 149 presenze tra il 1993 e il 2006. Dopo il ritiro dal calcio giocato, ha allenato la nazionale iraniana tra il 2008 e il 2009. Ora, è colpevole di aver appoggiato la causa delle donne.
TRA I GIORNALISTI, a finire in cella è anche Vahid Shamsoddinezhad. Diplomato lo scorso settembre alla Scuola superiore di giornalismo di Lille, nel nord della Francia, il 28 settembre era stato fermato a Saghez, nel Kurdistan iraniano, mentre lavorava per l’emittente televisiva franco-tedesca Arte.
Quattro giorni prima aveva depositato la lettera di accredito presso le autorità di Teheran. Dopodiché era riuscito a realizzare due interviste telefoniche e un video per la redazione di Arte Journal. Se è stato arrestato, sebbene avesse un accredito giornalistico, è perché il sistema iraniano è schizofrenico: ti rilascia il permesso per lavorare come reporter straniero, ma un qualsiasi altro organo di potere può metterti in carcere.
Con Vahid Shamsoddinezhad restano in carcere altri 43 giornalisti. Tra questi, le giornaliste Nilofar Azmoun e Elahe Mohammadi, accusate di spionaggio perché quando è morta Mahsa Amini sono state le prime fonti di notizie, anche per la stampa straniera.
Che cosa succederà alle migliaia persone arrestate? In concomitanza con la quarantacinquesima notte consecutiva di proteste, lunedì la magistratura ha annunciato che la capitale Teheran sarà teatro di processi pubblici che coinvolgeranno un migliaio di persone accusate di avere avuto un ruolo chiave nelle proteste di queste settimane. Finiranno sotto processo per aver commesso «azioni sovversive», tra cui l’aver aggredito le forze di sicurezza e l’aver appiccato il fuoco a proprietà pubbliche.
Il capo della magistratura Gholam-Hossein Mohseni Ejei ha precisato che sarà fatta differenza tra coloro che si sono limitati a «lamentarsi per strada» e coloro che volevano invece rovesciare la Repubblica islamica. E ha lasciato intendere che alcuni dimostranti saranno condannati per aver collaborato con governi stranieri.
A finire sotto processo per primo è stato il ventiduenne Mohammad Ghobadlo. Secondo quanto riferito dalla madre a IranWire, era stato arrestato con l’accusa di «corruzione sulla terra» per aver partecipato a un raduno antigovernativo. Non ha avuto diritto a un avvocato ed è stato subito condannato a morte.
Il reato di «corruzione sulla terra» è il più grave previsto dal Codice penale iraniano e serve a mascherare ogni forma di dissenso nei confronti della Repubblica islamica.
INTANTO, STA DIVENTANDO un caso sui social una vecchia foto, del 2011, che ritrarrebbe il ministro dei Trasporti iraniano in vacanza con la compagna con il capo scoperto vicino alle Petronas Towers a Kuala Lumpur in Malesia.
«Le donne vengono uccise in Iran per non aver indossato l’hijab, ma guarda come Rostam Qasemi il principale generale delle Guardie rivoluzionarie e attuale ministro dei Trasporti, gode della libertà con la sua ragazza senza velo in Malesia. Il regime ipocrita sta uccidendo adolescenti perché camminano per le strade senza velo». Così scrive su Twitter la giornalista e attivista Masih Alinejad, residente negli Stati uniti. E la poetessa persiana Parvin Etesami le metterebbe il like.
* Fonte/autore: Farian Sabahi, il manifesto
Photo by ANF News
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