by Leo Lancari * | 7 Ottobre 2022 12:18
Doppio naufragio, delle 22 vittime almeno 16 sono donne. Decine i dispersi. Scambio di accuse tra Atene e Ankara
L’hanno battezzata la strage delle donne e il motivo è semplice: nel doppio naufragio avvenuto mercoledì davanti alle coste greche e che ha provocato almeno 22 morti e qualche decina di dispersi, un numero cospicuo di vittime, 16 secondo l’ultimo bilancio dei soccorritori, è composto da giovani donne di origine africana. Oltre a loro anche un ragazzo.
Niente di nuovo, verrebbe da dire, ed è drammaticamente vero. Anni di tragedie in mare hanno visto ripetersi una serie di naufragi che di volta in volta sono stati chiamati, a seconda dei casi, dei bambini, dei giovani e, ancora, delle donne. Tutte vittime della stessa speranza, quella di avere in Europa le possibilità di vita che gli sono negate nei loro Paesi di origine. Ma anche dell’ostinazione con cui sempre l’Europa si ingegna per impedire loro di raggiungere le sue frontiere, salvo poi dirsi addolorata per l’ennesima strage del mare.
Le immagini che si sono viste ieri spiegano bene le condizioni in cui sono costretti a viaggiare i migrati e i rischi che corrono. Il primo dei due naufragi è avvenuto vicino l’isola greca di Kythira, nel Peloponneso, dove i venti che soffiavano a più di 70 chilometri orari hanno scaraventato una barca a vela con a bordo un centinaio di persone contro la scogliera alta una quindicina di metri. «Potevamo vedere la barca che si infrangeva contro gli scogli e le persone che si arrampicavano sulle rocce per cercare di salvarsi. E stato uno spettacolo terribile» ha raccontato un’abitante dell’isola, Martha Stathaki, all’Agenzia Ap. Molti residenti insieme ai vigili del fuoco hanno calato delle corde lungo la scogliera per aiutare i migranti a salire e mettersi in salvo. Fino a ieri sera quindici persone risultavano ancora disperse mentre per questa mattina è previsto l’arrivo dei sommozzatori della Marina greca per proseguire le ricerche.
Ventidue sono invece le vittime accertate del naufragio avvenuto sempre mercoledì al largo dell’isola di Lesbo, una centinaio di chilometri e Est di Kythira. Come la barca a vela, anche il gommone con un quarantina di persone a bordo era partito dalla Turchia diretto verso le coste greche quando è affondato a causa del maltempo. In questo caso le vittime sono state 18, sedici donne africane, un uomo e un ragazzo, ma secondo la Guardia costiera greca ci sarebbero almeno 12 dispersi mentre altre dieci donne sono state salvate.
I due naufragi hanno provocato il solito scaricabarile di responsabilità tra Grecia e Turchia. Notis Mitarachi, ministro dell’immigrazione di Atene, ha chiesto alla Turchia di agire per «prevenire partenze illegali a causa delle cattive condizioni del tempo», mentre il ministro degli Affari marittimi, Ioannis Plakiotakis, ha detto che «ancora una volta, la tolleranza della Turchia per le gang dei trafficanti senza scrupoli è costata vite umane».
A sua volta la Turchia – che a febbraio del 2020 ammassò migliaia di uomini, donne e bambini ai confini con la Grecia per far pressione sull’Unione europea – accusa la Grecia di respingere i migranti verso le sue coste. E a riprova di queste affermazioni due settimane fa Ankara ha reso noto un video nel quale si vede una motovedetta della Guardia costiera greca spingere un gruppo di migranti a bordo di zattere di salvataggio poi lasciate ai confini delle acque territoriali turche.
Naufragio, infine, anche al largo della Tunisia con tre morti e 14 dispersi.
* Fonte/autore: Leo Lancari, il manifesto[1]
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