Regno Unito. L’Alta corte esamina l’accordo per “esportare” gli asilanti in Ruanda
Dopo la cancellazione del primo volo di espulsione il governo di Johnson non si era arreso. E anche la nuova premier Liz Truss sostiene l’intesa con Kigali, dove l’«esternalizzazione dell’asilo» è sempre più una specialità della casa
Il controverso piano del governo britannico di «inviare» i richiedenti asilo in Ruanda è in questi giorni oggetto di un ricorso legale davanti all’Alta Corte di Giustizia britannica. Lunedì la magistratura ha preso in considerazione gli appelli dei diversi gruppi per i diritti degli immigrati, in particolare Care4Calais e Detention Action, nonché del sindacato dei servizi pubblici e commerciali, che rappresenta il personale di frontiera che dovrà far rispettare la legge.
I QUERELANTI RITENGONO che il provvedimento dell’ex premier Johnson sia «illegale e immorale» e attivando una serie di azioni legali hanno costretto il governo inglese ad annullare il primo volo di espulsione, programmato per il Ruanda il 14 giugno.
Ad aprile Londra aveva annunciato un accordo con il Ruanda in base al quale «qualsiasi migrante entrato illegalmente in Gran Bretagna è passibile di essere mandato in Ruanda, indipendentemente dal suo background e dalla sua nazionalità per attivare la richiesta di asilo».
IN CAMBIO DEL SERVIZIO, Londra aveva firmato con Kigali un grosso assegno da 140 milioni di euro. Cifra consistente per un paese dove, secondo la Banca mondiale, la quota di popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà è poco meno del 40%.
Il Ruanda si è posizionato da diversi anni nella nicchia del subappalto di rifugiati per i paesi occidentali: quello che le ong chiamano «l’esternalizzazione dell’asilo». Una tendenza in crescita, con un possibile accordo anche con il governo danese: in cambio di consistenti finanziamenti, Kigali promette «di integrare i richiedenti asilo nel suo sistema educativo e di offrire loro lavoro e un nuovo futuro».
SECONDO LE ASSOCIAZIONI umanitarie e la società civile inglese sono numerosi i dubbi riguardo «alla legalità del provvedimento e alla successiva sorte degli immigrati inviati in Ruanda», visto che già nel 2013 un accordo simile con Israele è stato rapidamente archiviato quando si è saputo che «i rifugiati erano stati detenuti, altri picchiati in prigione» e, secondo Human Rights Watch, molti «avevano pagato i trafficanti per lasciare il Ruanda».
Nei giorni scorsi la stampa inglese ha riportato testimonianze di migranti terrorizzati. Il quotidiano The Guardian fa riferimento al rapporto dell’associazione dei medici Medical Justice che indica come la minaccia di espulsione in Ruanda abbia «aumentato il rischio di suicidio per i richiedenti asilo», con almeno 4 casi confermati in questi mesi.
Il rapporto del 2022 del British Foreign Office – che fornisce il punto di vista del Regno Unito sui diritti umani in altri paesi – accusa Kigali di «reclutare rifugiati per le sue operazioni armate nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc)». Rapporto che, secondo il Guardian, non è stato ancora pubblicato «a causa delle pressioni del governo britannico».
DOPO LA CANCELLAZIONE del primo volo di espulsione – grazie anche alle pressioni della Corte europea dei Diritti umani – il ministro dell’Interno Priti Patel ha affermato che il governo vuole «rispettare l’accordo con il Ruanda e che i voli sono stati semplicemente sospesi in attesa delle richieste individuali di revisione».
Un primo banco di prova per la nuova premier Liz Truss, che ha in passato sostenuto l’accordo perché «mira a dissuadere potenziali richiedenti asilo dall’attraversare illegalmente la Manica».
* Fonte/autore: Stefano Mauro, il manifesto
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