Agro Pontino. Bastonato dal padrone perché chiede il salario

by Marco Omizzolo * | 4 Settembre 2022 17:29

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Ancora un caso di violenza contro un lavoratore migrante nell’Agro Pontino

 

Voleva solo essere pagato per il lavoro svolto in una nota azienda lattiero-casearia del Comune di Pontinia, nell’Agro Pontino. Ed invece si è ritrovato in ospedale, prima preso a bastonate e poi accoltellato da un imprenditore italiano.

È quanto accaduto a un lavoratore indiano di appena 24 anni che, dopo aver ricevuto pugni, schiaffi e alcune coltellate dal suo datore di lavoro per aver richiesto la retribuzione pattuita, è stato inseguito e investito con l’auto da quest’ultimo con lo scopo di fargli passare la voglia di rivendicare salari e diritti. L’unica colpa del ragazzo indiano è stata quella di aver lavorato per l’azienda dell’imprenditore senza percepire un euro e aver rivendicato quanto a lui dovuto in modo pacifico. Un atto evidentemente considerato di insubordinazione dall’imprenditore che ha risposto con una vile aggressione, manifestazione di un senso di impunità e di intoccabilità che caratterizza la concezione padronale di questo genere di imprenditoria.

Assunto perché privo di un regolare permesso di soggiorno, il giovane indiano ha lavorato anche 16 ore al giorno per circa 32 giorni nell’allevamento delle bufale da cui il padrone traeva il latte e la carne da vendere nei mercati romani e pontini, o per produrre formaggi e mozzarelle di grande qualità. Dopo l’aggressione, il lavoratore indiano è stato ricoverato all’ospedale Alfredo Fiorini di Terracina grazie al solerte intervento di alcuni automobilisti di passaggio che lo hanno trovato lungo la strada in evidente stato di shock e con diverse ferite al corpo. Un ricovero fondamentale per ottenere le cure necessarie e infine per sporgere denuncia contro il criminale italiano, regolarmente presentata ai Carabinieri di Terracina.

Questo episodio non ha nulla a che vedere con il caporalato, che è attività illecita di intermediazione della manodopera, spesso immigrata. In questo caso di caporali non vi è traccia e la relazione tra lavoratore e imprenditore era diretta, a dimostrazione di rapporti di forza così tanto sbilanciati da determinare la blindatura dei braccianti alle condizioni sociali, abitative, economiche, di sicurezza e legali che rispondo alla volontà di imprenditori divenuti padroni.
L’imprenditore italiano era già noto alle forze dell’ordine. In passato, infatti, era stato oggetto di diverse denunce presentate da lavoratori indiani ancora per aggressione, violenza e mancate retribuzioni. Per alcuni anni e fino al 2020 la sua azienda ha impiegato continuativamente un bracciante indiano riconoscendogli retribuzioni costantemente inferiori a quelle previste dal relativo contratto di lavoro.

Per dormire, l’imprenditore aveva concesso al lavoratore una struttura in legno precaria e pericolosa, una sorta di gazebo privo di impianto di riscaldamento, bagno e cucina, posto ad appena tre o quattro metri dalla stalla dove il lavoratore trascorreva, spesso da solo, molte ore di lavoro nell’arco della giornata. «Dovevo curare da solo l’intera stalla sin dal mattino presto – afferma il lavoratore indiano – dare da mangiare alle bufale, lavarle e aiutarle a partorire. Era un lavoro faticosissimo. Per mangiare, non avendo una cucina, il padrone mi portava ogni sera un piatto con del formaggio, pane, mozzarelle e dell’acqua». Una condizione di lavoro difficile dalla quale è uscito presentando una denuncia grazie al progetto Dignità Joban Singh dell’associazione Tempi Moderni e agli avvocati di Progetto Diritti.
Eppure, questo non è bastato per interrompere le modalità di sfruttamento dell’imprenditore italiano. Ad aprile di quest’anno, ancora un episodio gravissimo. In questo caso a farne le spese è stato il fratello di un lavoratore indiano che si rivolse all’imprenditore per ottenere le retribuzioni non corrisposte al parente, nel frattempo tornato in India. Anche in questo caso il ragazzo è stato aggredito e mandato in ospedale con il naso rotto. Ha poi presentato denuncia alla stazione dei Carabinieri di Pontinia mediante l’avv. Chaudhuri, collaboratrice dell’associazione Tempi Moderni.

Si tratta di fatti che indicano la persistenza di un sistema economico e sociale fondato sullo sfruttamento del lavoro, sul ricatto e la violenza, finalizzato a produrre profitti milionari, che secondo l’Eurispes arrivano a circa 24,5 miliardi di euro l’anno, e filiere commerciali contaminate da pratiche e comportamenti criminali, a volte mafiosi. Lo sfruttamento non è episodico oppure espressione di attività solo criminali, ma una modalità propria di organizzazione del lavoro, agevolato da norme e procedure a questo scopo promosse, come la legge vigente sull’immigrazione, la Bossi-Fini. Un tema totalmente assente, come quello dello sfruttamento, del padronato, del caporalato e delle agromafie, in questa triste campagna elettorale.

* Fonte/autore: Marco Omizzolo, il manifesto[1]

 

 

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