by Andrea Cegna * | 10 Luglio 2022 9:42
INTERVISTA A ALIOSHA ANDRES TAPIA (CONAIE). All’indomani dell’accordo che ha messo fine a uno sciopero generale contro le politiche economiche di Lasso che ha paralizzato il Paese per due settimane. “Anche stavolta tutta la destra si è unita a difesa dell’esecutivo, insieme alle forze armate. Al tempo stesso tutte le forze sociali si sono unite”
In Ecuador dopo diversi giorni di sciopero e mobilitazione, seguita da una dura repressione governativa che ha portato ad alcuni morti, diversi feriti e centinaia di arresti, è aperto un tavolo di trattative tra la Conaie, la Confederazione indigena nazionale faro della protesta e l’esecutivo guidato dal banchiere Guillermo Lasso. E c’è stato un accordo.
A qualche giorno dalla firma abbiamo intervistato Aliosha Andres Tapia – responsabile della comunicazione della Confederación de Nacionalidades Indígenas de la Amazonía Ecuatoriana (Confeniae), parte integrante della Conaie, fin dalla sua nascita nel 1986.
A cosa può portare l’accordo tra Conaie e governo?
Sicuramente si tranquillizza per un po’ la situazione. Possiamo parlare di una tregua tra il governo e il movimento indigeno e che la sua durata dipenderà dall’attuazione dei punti stabiliti durante il dialogo. In questa situazione di apparente calma potremmo rafforzare alcune nostre aree di intervento, perché sono stati presi in considerazione diversi punti in più rispetto a quelli che già il movimento indigeno aveva sottoposto al tavolo governativo con la Conaie nel 2019. Certo non sappiamo ancora il risultato o l’esito delle trattative anche perché c’è una polarizzazione dell’opinione pubblica e quindi è prematuro dire cosa accadrà. Confidiamo che si possano realizzare i punti firmati.
Che similitudini e differenze vedi tra le proteste dell’ottobre 2019 e quelle di questo giugno?
Le somiglianze sono molte. Una è che tutta la destra si è unita per difendere il governo, e con loro le forze armate. Allo stesso tempo tutte le forze sociali si sono unite per pretendere misure economiche. Altra similitudine è la pressione fatta dal Fondo monetario internazionale contro le richieste sociali. Come nel 2019, ciò che abbiamo messo in campo, preteso e strappato ha rallentato le politiche neoliberiste dei due governi. Altro punto in comune è stata la tattica di lotta dei movimenti popolari e indigeni con la presa di Quito e delle principali città del paese, ma anche la mobilitazione attiva nelle province in questo 2022 è cresciuta. Una differenza invece è che nell’ottobre 2019 c’era un decreto specifico, che è stato poi derogato, il decreto 883. Lo scorso giugno invece sono stati 10 i punti sollevati e posti dalla Conaie, il livello della lotta è più alto in questa fase. Sono stati bloccati 7 decreti, tra cui anche quelli sulle politiche estrattiviste (decreto 95) e abbiamo ottenuto diversi milioni di dollari di investimenti su politiche popolari e sociali.
E il Pachakutik, il partito indigeno che ruolo ha avuto?
Il Pachakutik ha avuto un ruolo ambiguo. Hanno dichiarato che non avrebbero votato per la destituzione di Lasso, poi sono dovuti tornare sui loro passi dopo che la decisone ha incontrato il malcontento dalla loro base elettorale. In generale ha partecipato marginalmente a questa lotta.
Quindi i movimenti indigeni e sociali restano le realtà determinanti in Ecuador…
C’è una lunga tradizione di rivolte guidate dai movimenti indigeni e sociali, almeno dagli anni ’90, quando ci sono state anche destituzioni di governi e presidenti. Negli ultimi 30-40 anni ci sono state altre mobilitazioni sociali forti, come quella dei lavoratori e delle lavoratici del 1992. Sì, c’è una storia importante che mostra il protagonismo dei movimenti indigeni e sociali in Ecuador.
* Fonte/autore: Andrea Cegna, il manifesto[1]
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