CRISI UCRAINA. Promesse a Zelensky per l’ingresso nella Ue

CRISI UCRAINA. Promesse a Zelensky per l’ingresso nella Ue

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Draghi, Macron e Scholz in visita promettono il via al procedimento. Ma senza fretta. Sulle armi Zelensky non sorride: Parigi si impegna ma non troppo. Dagli Usa, invece, arriva un altro miliardo

 

Una promessa rafforzata d’avvenire all’Ucraina, che «appartiene alla famiglia europea», per ottenere lo statuto di candidato alla Ue. Ma poche promesse concrete di armi. Un appello alla Russia perché non si opponga al piano dell’Onu per sbloccare i porti, in particolare Odessa, per permettere l’export di cereali e evitare la minaccia di crisi alimentare mondiale.

LA VISITA SIMBOLICA a Kyiv, anche se tardiva, dei leader dei tre principali paesi della Ue – Francia, Germania e Italia, a cui ha partecipato anche il presidente della Romania – è stata accolta con soddisfazione da Volodymyr Zelensky, che ha ottenuto la fine dell’ambiguità dei tre grandi sullo statuto di candidato, dopo non poche tensioni.

Con Emmanuel Macron per l’affermazione di «non umiliare la Russia», con Olaf Scholz accusato di troppa vicinanza con Mosca e di frenare l’appoggio militare e anche con l’Italia: malgrado Mario Draghi sia più favorevole da tempo dei partner francese e tedesco alla candidatura ucraina, aveva suscitato perplessità con il piano di pace italiano che non escludeva cessioni di territorio (un ritorno a Minsk2). Zelensky parteciperà al G7 in Baviera del 26-28 giugno.

Macron, Scholz e Draghi, arrivati a Kyiv dalla Polonia dopo 10 ore di treno di notte, sono gli ultimi leader europei a essersi recati in Ucraina, i paesi dell’est europeo (e anche Boris Johnson) li avevano preceduti da tempo, facendo nascere una certa diffidenza in Zelensky.

Hanno visitato Irpin, alla periferia della capitale, «esempio della brutalità russa» (Scholz). Dobbiamo «confermare con atti al di là delle parole», ha precisato Macron, «tutti e quattro sosteniamo lo statuto di candidato immediato all’adesione».

Esplicito Draghi: «Oggi il messaggio più importante della nostra visita è che l’Italia vuole l’Ucraina nella Ue» (e «ricostruiremo tutto» dopo le distruzioni). Macron aggiunge una precisazione: «Questo statuto sarà assortito di una road map e implicherà anche che venga tenuto conto della situazione dei Balcani occidentali e del vicinato, in particolare la Moldavia».

Oggi la Commissione europea comunicherà un «parere» sullo statuto di candidato alla Ue dell’Ucraina, già si sa favorevole. Ma non è la Commissione a decidere: la questione sarà al centro del prossimo Consiglio europeo del 23 e 24 giugno e richiede un voto all’unanimità dei 27. Candidatura ufficiale all’adesione non significa entrare subito nella Ue, i negoziati saranno lunghissimi, prima della guerra l’Ucraina era considerato uno dei paesi più corrotti d’Europa.

ALCUNI PAESI sono reticenti: Olanda, Austria, Danimarca, Portogallo chiedono «precondizioni», Svezia e Belgio aggiungono la necessità di avere «un quadro chiaro», si parla di «condizionalità». C’è l’incognita Ungheria, che potrebbe bloccare il processo, come di recente ha già ritardato le sanzioni Ue al petrolio russo. Invece, Polonia a Baltici vorrebbe un fast track per Kyiv, che non esiste per entrare nella Ue.

Nei fatti «ci vorranno anni», aveva precedentemente avvertito Macron, irritando Kyiv. L’Ucraina ha 40 milioni di abitanti, che avranno un peso nel Parlamento europeo e per la maggioranza qualificata al Consiglio, che marginalizzerà la «vecchia Europa».

Macron ha ricordato la complessità delle candidature: nei giorni scorsi ha affermato che Ucraina e Moldavia avanzano assieme, mentre le Georgia è in una situazione differente dal punto di vista «geopolitico».

Poi c’è il percorso già intrapreso dai paesi dei Balcani occidentali, che sarà difficile bypassare senza creare scontenti feroci (Albania e Nord Macedonia sono bloccate dalla Bulgaria, la Serbia si spazientisce e guarda alla Cina, la Bosnia è anch’essa candidata). Il governo tedesco finora è stato diviso sulla candidatura, tra Spd prudenti, Verdi e Liberali più convinti. «Questa guerra cambierà il destino dell’Europa», ha affermato Macron.

ZELENSKY, soddisfatto della candidatura, lo è meno sul fronte delle armi. La Francia si è impegnata a fornire altri sei cannoni Caesar, oltre ai 12 già promessi (spediti con aerei Antonov fabbricati in Ucraina).

Gli europei hanno fornito armi letali, ma in misura molto minore degli Usa, che hanno già inviato armamenti per 5,6 miliardi di dollari e mercoledì, alla terza riunione a Bruxelles del gruppo di contatto Nato sull’Ucraina, ai margini del vertice dei ministri della Difesa in preparazione del summit di Madrid a fine mese, hanno annunciato un altro miliardo, soprattutto in armi pesanti. A Madrid, la Nato dovrà discutere di un nuovo piano massiccio per l’Ucraina. «Abbiamo discusso di un sostegno supplementare all’Ucraina», dice la Nato.

I quattro leader europei ieri a Kyiv hanno cercato di fare pressione sulla Russia per arrivare allo sblocco dei porti e permettere l’export di cereali. L’ex presidente russo Medvedev ironizza sui tre europei, «mangiatori di rane, salsicce e spaghetti». C’è l’ipotesi di esportare attraverso la Romania. C’è un piano Onu che propone un sistema di ispezioni delle navi, ma la Russia lo ha respinto. Il porto di Odessa è stato minato dai russi ma anche dagli ucraini, reticenti nei confronti di uno sblocco che potrebbe permettere alla Russia di approfittarne per aggredire la città.

* Fonte/autore: Anna Maria Merlo, il manifesto



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