Il Messico dice basta alle armi Usa e intenta una causa
Parla John Lindsay-Poland di Stop Us Guns to Mexico. La causa del governo messicano ai produttori di armamenti statunitensi
Pistole semiautomatiche, fucili d’assalto, fucili da cecchino in grado di abbattere perfino un elicottero. Sono le armi che compongono l’arsenale dei cartelli della droga – e che in generale vengono ritrovate sulle scene anche dei crimini “comuni” in Messico. Fra il 70 e il 90% vengono dagli Stati uniti, dove sono vendute legalmente in 41 stati, un «fiume di metallo» che si riversa illegalmente oltre il confine: in tutto il Messico esiste un solo negozio dove è possibile acquistare legalmente armi da fuoco, previo un processo di controllo che può durare mesi. Eppure un messicano ha molte più probabilità di essere ucciso da un’arma Usa di un cittadino statunitense, nonostante la popolazione del paese latino sia più o meno la metà. Sono alcuni degli argomenti con cui il governo messicano ha intentato una causa – nell’agosto 2021 – contro i principali produttori e rivenditori di armi statunitensi, a cui vengono chiesti 10 miliardi di dollari di danni per il dolore e la distruzione a cui hanno contribuito oltre il confine.
Una cifra simbolica: con la causa si spera piuttosto di aprire una strada alla regolamentazione, e di dimostrare che il traffico illegale di armi destinate a criminali e cartelli della droga – con il semplice impiego dell’intermediazione di prestanome – è «una caratteristica, non un malfunzionamento» delle operazioni commerciali delle compagnie. Tanto più che alcune di queste armi sono pensate proprio per esercitare un appeal su una clientela molto particolare: pistole con incisi soprannomi come El Grito e El Jefe, o fucili placcati in oro.
In questi giorni in una corte del Massachusetts si discute l’istanza di archiviazione dei produttori di armi citati in giudizio: Smith&Wesson, Colt, Glock, Barrett, Ruger – e anche la controllata Usa della nostra Beretta. «Quelle Beretta sono le armi in assoluto più richieste in Messico. L’Italia ha un ruolo molto importante nella violenza in quel paese» spiega John Linsay-Poland, ricercatore, analista e attivista che si occupa di demilitarizzazione e coordina il gruppo Stop Us Guns to Mexico. «La causa si concentra sulle armi vendute al dettaglio e poi trafficate in Messico. Ma sarebbe interessante anche discutere del fatto che a Beretta faccia comodo avere una sede legale in Usa, dove le leggi sull’export sono molto più rilassate rispetto a quelle europee».
Qual è stato il costo del traffico illegale di armi Usa per il Messico?
Il numero di omicidi con armi da fuoco in Messico è cresciuto enormemente negli ultimi 20 anni. I fattori che hanno contribuito a questa impennata di violenza sono molti, ma la disponibilità di armi trafficate, o perfino esportate legalmente dagli Stati uniti, è un fattore importante. Spesso ci si concentra sul commercio di droga, la corruzione, le organizzazioni criminali, ma la presenza e la disponibilità di una grande quantità di armi – anche di tipo militare – ha aumentato la pervasività del problema, e la capacità di organizzazioni armate, che siano criminali o lo stesso stato, di commetterle violenza. Non solo omicidi: sparizioni forzate, estorsioni, stupri, attacchi ai migranti, violenza domestica…
Cosa pensa della causa del governo messicano, e della scelta di non citare in giudizio il governo Usa che pure ha un ruolo di primo piano nel flusso di armi oltre il confine?
Questa ondata di violenza non si può arginare con un’unica soluzione. Ma la causa è importante per tante ragioni: da un punto di vista giudiziario e in termini politici – perché pur non essendo rivolta al governo lo mette sotto pressione affinché ripensi le leggi in materia. E mette sotto pressione anche lo stesso governo messicano, perché intraprenda nuove strategie per far fronte al problema. E un aspetto fondamentale della causa è che cambia la narrativa: quella dominante è una narrativa razzista, per la quale i messicani sono violenti, e che questo non dipenda dalle armi, o dalle droghe, ma proprio dalla loro natura. Un altro modo distorto di vedere il problema addossa invece tutte le colpe al confine, e sostiene che se lo si potesse controllare tutto verrebbe risolto. Ma gli scambi commerciali legali attraverso il confine sono una priorità per Usa e Messico, e il loro volume è tale che cercare di fermare le armi, la droga, o perfino le persone non è che un’illusione. Quindi spostare l’attenzione sulla produzione e la vendita di armi da fuoco che entrano in Messico è un modo molto importante di focalizzare la narrativa sulle responsabilità del mercato stesso: il controllo sulle armi in entrata è minimo – da parte delle compagnie che le producono e le vendono, del governo e dei singoli stati Usa, dei rivenditori. Ma è proprio su quel mercato che ci si deve concentrare: se per esempio ci fossero controlli sui fucili d’assalto, o se Walmart smettesse di venderli, si potrebbe arginare l’arsenale diretto a sud.
Mentre c’è una chiara volontà di impedire alle persone di attraversare il confine, lo stesso non si può dire delle armi trafficate nella direzione opposta.
C’è un problema legale: per la legge i migranti che transitano in Messico senza documenti lo fanno illegalmente, ma lo stesso non si può dire delle armi finché transitano all’interno degli Stati uniti. È solo quando attraversano il confine che questo diventa illegale. E c’è un problema politico: gli Usa hanno imposto le loro politiche migratorie al Messico, che quindi fa il lavoro sporco per conto loro servendosi proprio di armi statunitensi: solo nel 2020 la Guarda nazionale – la forza principale che detiene i migranti in cerca di asilo – ha acquistato 50.000 pistole semiautomatiche dagli Usa.
Nella più recente udienza sul caso si è discusso dell’istanza di archiviazione dei produttori di armi, secondo i quali se si desse ragione al governo messicano tutti potrebbero far causa: per esempio il governo italiano per gli omicidi di mafia.
Non credo che il 70% delle armi usate dalla mafia in Italia siano illegalmente trafficate dagli Stati uniti. Mentre questo è ciò che accade in Messico – ed è un mercato che i produttori promuovono e dal quale traggono immensi profitti. Detto questo, credo che se si potesse appuntare la responsabilità sui produttori di armi anche in altri casi, se anche altri soggetti fossero in grado di citarli in giudizio, sarebbe una cosa buona.
Pensa che la recente vittoria in tribunale delle famiglie delle vittime del massacro di Sandy Hook contro Remington rappresenti un precedente positivo?
Senza dubbio. Le corti sono tenute a interpretare la legge, ma rispondono anche, nel bene e nel male, al mutamento di valori politici e sociali. E credo che la sentenza contro Remington rifletta la percezione fra la gente che la violenza armata, e il commercio di armi, abbia superato ogni limite, e che i produttori vadano ritenuti responsabili delle loro azioni. La PLCAA (la legge federale che garantisce vasta immunità ai produttori di armi nelle cause legali per violenza armata, ndr) fa un’eccezione per la «pubblicità ingannevole», che è la strategia grazie alla quale le famiglie di Sandy Hook hanno vinto. Quindi credo sia un buon precedente, anche perché parte della causa del Messico è incentrata proprio sul marketing, su come alcune armi vengano targetizzate esplicitamente per i cartelli.
I produttori di armi sostengono però che la PLCAA dovrebbe fargli scudo anche in questo caso.
Sarà la corte a decidere, ma credo che l’argomento del Messico sia valido: che la PLCAA non è stata scritta né intesa per venire applicata extraterritorialmente, i danni provocati da queste armi da fuoco al di fuori del territorio statunitense non dovrebbero essere soggetti alla protezione della legge. E ci sono anche leggi Usa che si applicano a casi al di fuori del proprio territorio, per esempio quelle ecologiche: se l’inquinamento prodotto in Usa ha uno spillover in altri paesi, chiunque ne sia responsabile ne deve rispondere a livello legale, anche in assenza di danni all’interno degli Stati uniti. Che non è comunque il caso delle armi, che creano immensi problemi anche negli Usa: beneficerebbero anch’essi da un maggiore controllo di questi mercati.
* Fonte/autore: Giovanna Branca, il manifesto
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