Russia e Ucraina insieme nella Via Crucis, la profezia scandalosa della pace
VIA CRUCIS. Sono state sollevate obiezioni circa l’idea di Papa Francesco di far portare la Croce nella XIII stazione della Via Crucis al Colosseo a una donna ucraina e una donna russa. Insieme
Sono state sollevate obiezioni circa l’idea di Papa Francesco di far portare la Croce nella XIII stazione della Via Crucis al Colosseo a una donna ucraina e una donna russa. Insieme. Lo stesso ambasciatore ucraino presso la Santa Sede in un tweet ha affermato che la sua rappresentanza diplomatica «capisce e condivide la preoccupazione generale in Ucraina e in molte altre comunità».
Qual è il senso di questo gesto scandaloso? Non è la prima volta che l’aggressore e l’aggredito sono immersi da Francesco nella stessa preghiera. Era accaduto il 25 marzo scorso quando Francesco aveva compiuto il gesto umile di consacrare al Cuore immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina. Insieme, come sorelle, e non come nemiche, innestando il suo gesto in continuità con quello che Pio XII compì nel 1942, durante la Seconda guerra mondiale.
Occorre comprendere una cosa: Francesco non è un politico: è un pastore. Chiaro che ha una visione del mondo che, in sintesi è questa, così come l’ha riassunta di recente: «Si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri». La sua idea sulla guerra basata sui «nuovi imperialismi» (plurale) è altrettanto chiara. Mentre il patriarca di Mosca Kirill la vede come una «guerra metafisica» del bene contro il male, Francesco la definisce «inaccettabile aggressione armata», «guerra ripugnante», «massacro insensato», «invasione», «barbarie», ma soprattutto «atto sacrilego». E dice direttamente a Kirill che «la Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù»
Ecco: il linguaggio di Gesù. E qual è questo linguaggio? «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Matteo 5). Il Papa fa proprio quel messaggio della Conferenza episcopale dei vescovi cattolici ucraini che tempo fa aveva chiesto di pregare anche «per coloro che hanno iniziato la guerra e sono stati accecati dall’aggressione. Proteggiamo i nostri cuori dall’odio e dalla rabbia contro i nostri nemici. Cristo dà una chiara istruzione di pregare per loro e di benedirli».
Francesco agisce secondo lo spirito evangelico, che è di riconciliazione anche contro ogni speranza visibile durante questa guerra di aggressione. Traduce, dunque, Francesco in un tweet di ieri: «Il Signore non ci divide in buoni e cattivi, in amici e nemici. Per Lui siamo tutti figli amati». Il suo interesse primo non è la geopolitica, ma – come ha detto tre giorni dopo lo scoppio della guerra – la «gente comune, che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra». Fratelli tutti, dunque. Figli tutti. Da qui il grido «Fermatevi!», seconda persona plurale.
Due donne, Albina e Irina, nel Venerdì santo porteranno la Croce. Non diranno una sola parola. Neanche una richiesta di perdono o cose del genere. Niente. Sono sotto la Croce nel portarla. Scandalosamente insieme. Sarà un segno profetico mentre le tenebre sono fitte. Il loro essere insieme, figlie di Dio e sorelle di una guerra che da amiche le ha rese nemiche, è una invocazione a Dio perché ci dia la grazia della riconciliazione. La loro presenza insieme è una preghiera per chiedere una grazia che, secondo il Papa, solamente Dio può dare. La profezia si incunea nei cuori e nelle ombre della storia, facendola esplodere dall’interno come la resurrezione.
La Via Crucis è un rito con cui si ricostruisce e commemora il percorso doloroso di Gesù che si avvia alla crocifissione. Nel rito il dolore è rappresentato, introiettato, elaborato, assunto nelle piaghe e nelle cadute di Cristo. Evocare la riconciliazione nelle tenebre del dolore salva l’innocenza dei popoli, della «gente comune, che vuole la pace». Il Papa vuole che questa sporca guerra finisca, ed è per questo che mette sotto la croce di Cristo e sotto le sue parole – «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» – due amiche che la guerra ha etichettato come nemiche: una carnefice e l’altra vittima, dove la prima però in una intervista dice della sua amica «vittima»: «ho timore nell’esprimermi e nell’essere intervistata, mi sento molto più sicura e forte quando ho lei accanto a me».
E il Papa, mettendo insieme sotto la croce queste due donne che si stringono la mano nel toccare il legno insanguinato della croce, svolge il suo compito di pastore «cattolico», cioè universale. Così salva in questo tempo così duro, la cattolicità della sua fede e della sua Chiesa. La mette al riparo dal pantano dei nazionalismi e dalle alleanze – qualunque esse siano – tra trono e altare o tra parlamenti e chiese. È terribile e scandaloso. Ma questo è predicare il Vangelo di Cristo.
* direttore de «La Civiltà Cattolica»
Fonte/autore: Antonio Spadaro, il manifesto
Foto di Gastón Pérez da Pixabay
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