by Daniela Passeri * | 5 Aprile 2022 9:50
«Senza un’immediata e profonda riduzione delle emissioni che alterano il clima in tutti i settori, non sarà possibile limitare il riscaldamento climatico a 1,5°C. In questa prospettiva, nuovi investimenti in infrastrutture per i combustibili fossili diventeranno carta straccia, oltre a mettere ad ulteriore rischio il pianeta»
CLIMA E GUERRA si sono intrecciati ieri a Ginevra alla presentazione del VI Rapporto Ipcc sulle soluzioni per la crisi climatica e la vicepresidente del gruppo di lavoro sulla mitigazione, Diana Urge-Vorsatz, non si è tirata indietro quando la discussione è inevitabilmente virata sugli ulteriori investimenti sui fossili annunciati da vari stati in queste settimane di guerra. «Dobbiamo fare delle scelte», ha detto, perché le infrastrutture che esistono da sole esauriranno il budget di carbonio che ci è rimasto, ovvero la limitata quantità di CO2 che ci possiamo permettere.
Accanto all’urgenza, a questo terzo capitolo del VI Rapporto Ipcc è emerso qualche timido segnale positivo: se è vero che le emissioni di gas serra nel decennio 2010-2019 hanno raggiunto il livello più elevato nella storia umana, tuttavia il tasso di crescita è rallentato, «chiara evidenza dell’azione climatica» è scritto nel Rapporto. Il tasso medio annuale di crescita dei gas serra di 2,1% nel periodo 2000-2010 è diminuita all’1,3% nel 2010-2019.
DOPO AVER ESAMINATO 18mila articoli scientifici, i 278 scienziati IPCC che hanno lavorato al capitolo sulla mitigazione sono arrivati alla conclusione che abbiamo le conoscenze, le tecnologie, i mezzi e persino il denaro per affrontare la sfida. Quello che manca sono le politiche: con gli attuali impegni climatici promessi dagli stati (i cosiddetti NDCs, Nationally Determined Contributions) entro il 2100 il riscaldamento globale sarà di 2,8°C. «Bisogna fare di più, oggi, immediatamente, non domani», ha sottolineato Jim Skea, presidente del gruppo di lavoro.
PER NON SUPERARE IL LIMITE fissato dall’Accordo di Parigi di 1,5°C entro il 2100, è necessario che le emissioni raggiungano il picco prima del 2025 e si riducano del 43% entro il 2030 per raggiungere lo zero netto entro il 2050. Anche le emissioni di metano devono essere ridotte di almeno un terzo entro il 2030, per poi dimezzarsi entro il 2050. In questo modo, uno sforamento di 1,5°C sarà inevitabile ma poi la temperatura rientrerà sotto la soglia critica. Ogni scenario di contenimento del global warming entro 1,5°C si basa su qualche inevitabile misura di cattura e stoccaggio della CO2 (CDR).
NON SARÀ NECESSARIAMENTE un percorso “lacrime e sangue”, come dice il ministro della Transizione ecologica Cingolani: secondo il rapporto, 43 stati sono riusciti a disaccoppiare le emissioni CO2 dalla crescita economica, il che significa che hanno potuto stabilizzare o diminuire le loro emissioni facendo anche crescere il PIL: tra questi, oltre agli USA e alcuni stati europei, figura anche Cuba.
Del resto, dal 2010 i costi di produzione delle energie rinnovabili sono diminuiti fino del 55% per l’eolico e dell’85% per il solare e oggi queste fonti competono con i combustibili fossili sui costi livellati dell’energia in molti stati del mondo.
«SE I FLUSSI FINANZIARI sono ancora 3/6 volte inferiori ai livelli che saranno necessari nel 2030, nel mondo ci sono sufficienti capitali e liquidità per colmare il divario degli investimenti necessari alla transizione – si legge nel Rapporto – Ma bisogna anche rimuovere i sussidi ai combustibili fossili con il triplice scopo di ridurre le emissioni, migliorare le entrate pubbliche e produrre benefici ambientali e di sviluppo sostenibile». Che ogni stato faccia la sua parte. Secondo Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente , «l’Italia deve prevedere misure davvero coraggiose come lo stop ai sussidi ambientalmente dannosi per far uscire il nostro Paese dalla dipendenza delle fonti fossili, a partire dal gas russo, accelerando lo sviluppo delle fonti rinnovabili, arrivando ad autorizzare 20 GW di nuova potenza installata all’anno per i prossimi anni come richiesto da Legambiente, Greenpeace Italia e WWF Italia e da Elettricità Futura di Confindustria. Allo stesso tempo è importante lavorare sull’efficientamento del parco edilizio e l’elettrificazione dei consumi per il riscaldamento domestico».
UN’ECONOMIA A BASSE emissioni di carbonio «può creare più posti di lavoro, oltre a procurare vantaggi economici, sociali e ambientali», ha dichiarato Stephanie Roe, fra gli autori dell’Ipcc e scienziata del clima e dell’energia del Wwf. Per Martina Borghi, responsabile della Campagna Foreste di Greenpeace Italia «semplicemente, non c’è più spazio per nuove attività di ricerca ed estrazione di fonti fossili: smettiamo di investire denaro in questi combustibili per il profitto di pochi. Sia le minacce che le opportunità sono oggi più grandi che mai, così come il potere delle persone che si uniscono per il cambiamento».
* Fonte/autore: Daniela Passeri, il manifesto[1]
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