Cile. Mapuche-governo Boric, una «possibilità inedita» con polemiche
Sul conflitto con le comunità indigene il nuovo governo volta pagina. Ma sembra non bastare. Carabineros o buen vivir? Fallita la visita della ministra Siches, strumentalizzata dalle destre e conclusasi con l’annuncio di più polizia e droni per la sicurezza nei territori usurpati
Non basteranno le buone intenzioni a risolvere il conflitto che oppone lo stato cileno al popolo mapuche. E se ne è resa conto a proprie spese la ministra dell’Interno Izkia Siches, protagonista di quello che si può definire il primo scivolone del governo Boric.
Decisa a marcare subito una differenza rispetto alla fallimentare strategia di criminalizzazione, repressione e isolamento seguita dai governi precedenti, il 15 marzo, appena quattro giorni dopo l’insediamento di Gabriel Boric, Siches si era recata nella comunità Temucuicui in Auracanía, in compagnia di altri ministri, per far visita a Marcelo Catrillanca, il padre di Camilo Catrillanca, assassinato nel 2018 dal Comando Jungla, il corpo antiterrorista dei carabineros cileni, mentre a bordo del suo trattore tornava dai campi.
LA VISITA, TUTTAVIA, ERA FALLITA clamorosamente: una serie di colpi sparati in aria e la costruzione di barricate lungo il percorso avevano costretto la comitiva ministeriale a tornare indietro. E il risultato era stato che la ministra si era trovata ad affrontare un fuoco di fila di critiche, alimentate da una stampa che non aveva esitato a descrivere quanto accaduto addirittura nei termini di un attacco armato da parte dei mapuche. Un attacco, oltretutto, inferto durante lo stato d’eccezione proclamato da Piñera il 12 ottobre del 2021 nelle province di Arauco, Biobío, Malleco e Cautín, e rimasto in vigore fino al 26 marzo, quando, come promesso, il governo Boric ha lasciato cadere la misura.
Ma, al di là delle strumentalizzazioni giornalistiche, che la visita fosse stata «improvvisata» lo aveva riconosciuto lo stesso Marcelo Catrillanca. E lo aveva ribadito anche il lonko (guida) della comunità Temucuicui Víctor Queipul Huaiquil, denunciando il mancato rispetto della cultura e della tradizione mapuche e ponendo come condizione per ricevere il governo quella di discutere della «restituzione del nostro territorio».
Tuttavia, per quanto il governo avrebbe dovuto capire di non disporre ancora di «un capitale politico sufficiente» per una visita di così grande valore simbolico e mediatico, essa ha comunque fatto emergere, come evidenziato dal ricercatore del Centro de Estudios Interculturales e Indígenas Claudio Alvarado e dal coordinatore generale dell’organizzazione Vocería Plurinacional Martín Llancaman, «la possibilità inedita», anche se molto fragile, di «un approccio politico al conflitto».
NON È STATA QUESTA, comunque, l’unica polemica che ha visto come protagonista la ministra dell’Interno, la quale è stata costretta a chiedere scusa agli argentini per il suo utilizzo, durante una riunione svoltasi il 24 marzo, del termine «Wallmapu» in riferimento al territorio rivendicato dal popolo mapuche in Cile e in Argentina. «Chiediamo che il nostro governo chiarisca ai cileni che non c’è Wallmapu, c’è la provincia di Chubut», aveva protestato l’ex ministro della Sicurezza di Chubut Federico Massoni e ancora più duro era stato il parlamentare di Juntos por el cambio Juan Martín: «Quando i funzionari cileni parlano di Wallmapu stanno legittimando una rivendicazione territoriale che colpisce la nostra sovranità nazionale».
IN RISPOSTA AGLI ATTACCHI delle destre, Siches ha presentato al Senato, il 6 aprile, i «cinque pilastri» della sua strategia rispetto al conflitto mapuche: la creazione di una commissione della verità e di chiarimento storico, la realizzazione di spazi di dialogo territoriali, il rafforzamento della Corporación Nacional de Desarrollo Indígena (Conadi), un’agenda interministeriale per il Buen vivir e lo sviluppo di misure di sicurezza.
Ma, oltre a tacere sul tema della restituzione delle terre usurpate, la ministra ha finito per porre l’accento, ancora una volta, sulla necessità di un rafforzamento della presenza della polizia nella regione, annunciando nuovi mezzi blindati per i carabineros, una maggiore vigilanza con i droni e un nuovo sistema di intelligence.
«SIAMO DI FRONTE alla solita strategia di militarizzare il territorio per proteggere gli interessi delle grandi imprese presenti nel territorio mapuche», ha denunciato il werkén (portavoce) della comunità di Temucuicui Rodrigo Huenchullan, assicurando la propria disponibilità a dialogare con il governo, ma sui «temi di interesse del popolo mapuche, quelli della terra e del territorio».
Tutt’altra linea ha espresso il sottosegretario Manuel Monsalve, assicurando che «sotto la minaccia della violenza non c’è possibilità né di dialogo né di accordo con il governo».
Che poi è esattamente ciò che, sull’altro fronte, ha sostenuto la Coordinadora Arauco Malleco, tra le forze più impegnate nel recupero delle terre usurpate e nei sabotaggi nei confronti delle imprese forestali e dei grandi latifondisti. «Non dialogheremo con quanti hanno come fine ultimo l’annientamento della nostra gente, come Monsalve e compagnia», ha dichiarato la Cam, accusando il governo Boric di puntare ad «asfissiare le espressioni rivoluzionarie della resistenza mapuche» anziché avanzare nella soluzione del conflitto.
PER SBLOCCARE LA SITUAZIONE, al governo Boric resta allora solo una possibilità: quella, come ha dichiarato a El Mostrador Tv l’accademico Felipe Agüero, di «affrontare in maniera diretta la questione della restituzione delle terre». Perché, ha detto, «non basta più annunciare dialogo, dialogo, dialogo: è il momento di essere audaci».
* Fonte/autore: Claudia Fanti, il manifesto
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