by Giuliano Santoro * | 6 Marzo 2022 9:49
No War. A Roma Ong, studenti, movimenti, sinistre, sindacati. Landini: «Abroghiamo la guerra»
Parafrasando Bob Dylan, bisogna essere dei metereologi per sapere che il vento gelido che spira in questi giorni dalle nostre parti arriva proprio dalla Russia. Ma non bisogna essere esperti di clima, basta essere in piazza San Giovanni, per capire che la brezza siberiana è attenuata dal calore umano delle 50 mila persone che manifestano il loro no alla guerra in Ucraina.
DOPO 24 MESI di pandemia e isolamento sociale, questa gente avrebbe voluto un’altra occasione per ritrovarsi. Ma tant’è: la piazza voluta dalla Rete italiana pace e disarmo è uno spazio pubblico smilitarizzato. La scommessa è che questa manifestazione non venga ridotta a bandierina di testimonianza sulla carta geopolitica delle guerre, che rappresenti una rete di relazioni e mutuo appoggio per resistere alla guerra. «Disarmo, neutralità attiva, stop alle armi, riduzione delle spese militari: con queste le parole il movimento per la pace ritrova in questa piazza», dicono gli organizzatori.
ALLE 13.30, orario prefissato, piazza della Repubblica è già piena. Dunque il corteo si muove dietro lo striscione d’apertura «Europe for peace», accompagnato dalle bandiere della pace, dalle Acli e dalle Ong. A tenerlo c’è anche Maurizio Landini. Dedicando questa manifestazione a Gino Strada, il segretario generale della Cgil alza l’asticella delle ambizioni: «Questo è il momento del coraggio, della responsabilità ma anche dell’utopia – scandisce – L’obiettivo non deve essere solo fermare la guerra, deve essere ancora più alto: la battaglia per un nuovo modello sociale di sviluppo deve assumere l’obiettivo di abrogare la guerra, come è stata abrogata la schiavitù». «Dovevamo agire prima – avverte Luciana Castellina nella sua ricostruzione che invita a fare autocritica – Affinché col crollo del Muro di Berlino l’Europa creasse un arco di pace e non di armi. E, ancora, nel 2014: nel mezzo dello scontro russo-ucraino».
SUBITO DOPO arrivano le Camere del lavoro e i comparti della Cgil (poca Uil in piazza, nonostante l’adesione formale), soprattutto Flc e Fiom. Poi gli «Studenti per la pace e il disarmo» dell’Udu e quelli di Link, che reggono lo striscione: Nessuna alternativa alla pace, coooperazione tra i popoli». Segue il camion della Rete No War di Roma, che raccoglie studenti, spazi sociali e le transfemministe di Non Una di Meno, che hanno rilanciato il loro 8 marzo contro la guerra. E lo spezzone No Nato di Usb, Rete dei comunisti, Osa.
IN CODA, I PARTITI: Sinistra italiana, Potere al Popolo, Rifondazione, Europa verde. Avvistati Luigi De Magistris, Nichi Vendola e Arturo Scotto di Leu. Peppe Provenzano e Gianni Cuperlo del Pd si sono affacciati davanti al palco di piazza San Giovanni. Gli interventi finali seguono un filo conduttore preciso: questa è una guerra che contiene e rimescola in forme nuove gli orrori che l’Europa ha conosciuto o ha portato al di fuori dei suoi confini dal Novecento in poi: i combattimenti casa per casa della Stalingrado della Seconda guerra mondiale, la confusione delle ideologie dei simboli e delle storie e lo scontro senza etnico delle guerre jugoslave, le azioni di polizia internazionale di Clinton provocatoriamente evocate da Putin nei suoi discorsi, fino allo «scontro di civiltà» dichiarate dagli Usa contro Iraq e Afghanistan.
IN MEZZO ALLA FOLLA eppure solitaria, si aggira una bandiera della Siria. La porta Fouad Rouehia, siriano di seconda generazione. Racconta che Putin ha fatto le prove generali dell’invasione ucraina proprio sulla pelle della sua gente: «Nell’indifferenza della comunità internazionale – dice – i russi hanno sperimentato in Siria, sulla nostra pelle, trecento tipi di arma da guerra. A cominciare dalle testate termobariche». Raffaella Chiodo avrebbe dovuto portare il messaggio della Rete delle madri dei soldati russe ucraine e bielorusse che con grande fatica sono riuscite a bucare il silenzio al quale sono costretti i loro figli. Ma, spiega, il canale si è interrotto dopo l’ennesimo giro di vite del regime putiniano. Racconta di «testimonianze strazianti» di «ragazzi finiti nell’esercito in prima linea dalla periferia dell’impero russo». Infine, una studentessa della Lupa, il movimento delle scuole superiori, riporta l’angoscia di quest’epoca: «Dopo due anni di pandemia gestita ci ritroviamo in guerra. Dal canto nostro, ci opporremo alla guerra in tutte le sue forme: non gli daremo pace».
* Fonte/autore: Giuliano Santoro, il manifesto[1]
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