Ucraina, la guerra e le parole incendiarie

Ucraina, la guerra e le parole incendiarie

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Dalla dichiarazione del presidente Usa, due scelte occidentali contrapposte: con Putin non si tratta fino al suo crollo; con Putin, si deve negoziare per fermare la guerra in Europa

 

«Putin è un macellaio…non può stare al potere». La frase che Biden ha detto, subito divisiva tra Europa e Stati uniti, è perfino condivisibile ma allo stesso tempo assolutamente inaccettabile.

È condivisibile perché chi bombarda in modo «chirurgico» le città sa di colpire indiscriminatamente i civili, seminando terrore utile ai fini della guerra.

Uccidere anche un solo bambino che altro è se non opera di un macellaio? E purtroppo, secondo l’Onu, i bambini ucraini uccisi finora sono più di 140. Ed è probabile che sicuramente il popolo russo non sia proprio contento del suo presidente che ha scelto la guerra come soluzione della crisi ucraina a costo della vita di civili ucraini, ragazzi russi mandati al fronte a morire e di milioni di profughi.

Dov’è allora l’inaccettabile? Nel fatto che a pronunciare questa accusa sia un presidente degli Stati uniti che nella sua vita politica ha votato a favore di ogni guerra americana bipartisan, di destra e di sinistra, diretta o indiretta, che ha disseminato di mattatoi l’intero Medio Oriente.

Dove le vittime civili sono state centinaia di migliaia, da stragi sotto bombardamenti aerei o da massacri per sanzioni micidiali. Parliamo delle tre guerre contro l’Iraq, dell’Afghanistan occupato per 20 anni, della Palestina, della Siria, della Libia, dello Yemen in corso. Un universo di centinaia di migliaia di morti, sempre secondo fonte Onu.

Crimini impuniti. Che conosciamo – così come sappiamo la verità sui crimini in Cecenia grazie al sacrificio di Anna Politkovskaja e a Novaja Gazeta che ieri ha chiuso per le imposizioni della censura russa – solo grazie al lavoro di controinformazione di WikiLeaks, il cui protagonista, Julian Assange non a caso sta in galera pronto ad essere consegnato alla giustizia Usa, la stessa che nega validità alle Corti penali internazionali.

Chi dunque dice macellaio a chi?

MA L’IMPROPRIETÀ dell’accusa vale, forse di più, anche per la seconda parte della frase di Biden. Il segretario di Stato Blinken si è affrettato a dire che no «gli Stati uniti non hanno alcuna strategia di cambio di regime per la Russia», il cancelliere Scholz afferma che «Biden non ha detto» quello che invece tutti hanno sentito, ma più forte contro le parole di Biden si schiera Macron perché «io parlo con Putin», vale a dire tenta una trattativa, e perfino quelle di Erdogan, il Sultano atlantico: «Se bruciamo tutti i ponti come faremo a trattare?».

In contropiede Draghi che solo poche ore prima, ringraziando il papa che ha chiamato «pazzi» i leader europei che aumentano le spese militari, dichiarava: «Io cerco la pace, io parlerò con Putin».

ECCO IL PUNTO, dalla dichiarazione di Biden emergono due scelte occidentali contrapposte: con il macellaio non si tratta, avanti fino all’abbattimento di Putin, con Putin si deve trattare per fermare la guerra nel cuore d’Europa.

Nessuno s’illuda. Biden non si è sbagliato, non trova le parole per dirlo, ma ha rivelato quello che pensa e vuole fare l’Amministrazione americana: trasformare l’occasione ucraina come resa dei conti con il nemico russo.

Anche come avvertimento all’indecisa Cina. La guerra quindi non solo non deve fermarsi ma approfondirsi.

FINALMENTE ABBIAMO capito il motivo di tanta ilarità, delle sue risate, degli ammiccamenti sganasciati, dell’allegria di Biden, prima tra i leader Ue e poi tra i militari americani nella base polacca. Dagli a ridere… Perché? Perché l’invasione russa dell’Ucraina è considerata in ambiente atlantico la più grande vittoria della Nato – dopo tante sconfitte – dalla Siria, alla Libia, a Kabul – dalla guerra «umanitaria» vittoriosa del 1999 contro la piccola Jugoslavia di Milosevic.

E ora il problema è fare con Putin quello che venne fatto con Milosevic che, è bene ricordarlo, cadde un anno e mezzo dopo la fine della guerra ma per iniziativa violenta di nazionalisti ben peggiori di lui.

I russi dovrebbero autodeterminarsi, ma siamo all’etero-determinazione americana dei popoli che tra l’altro scatena la repressione di Putin: torna l’esportazione della democrazia.

ALTRO CHE TRATTATIVA di pace, altro che bandire la guerra dalla storia come chiede inascoltato il papa. L’importante è dissimulare – è l’arte della guerra – le decisioni e alimentare il più possibile il conflitto armato aspettando dunque la «rivolta russa»? È a questa sceneggiatura alla quale dovremmo partecipare come comparse con l’invio di armi e l’aumento di un terzo delle spese militari?

Fatto sconcertante, questo progetto Usa dovrà ricadere sulle spalle europee e nello spazio strategico dell’Europa. Un Afghanistan allargato, devastante per ogni progetto futuro, ormai residuale, di un’Unione europea (altro che Next generation Eu e lotta alla pandemia) ricompattata in armi intorno all’asse transatlantico.

CHI VUOLE L’INVIO di armi all’Ucraina – piena da anni di depositi di armi e di addestratori Nato, come confessa il segretario Stoltenberg – ha chiaro che a dire «No» sono proprio gli Stati uniti? Che infatti non consegnano le armi vere, quelle decisive, a gran voce richieste da Zelenski che accusa l’Occidente di mancanza di coraggio: gli aerei e i carri armati, la no-fly zone rivisitata alla polacca con il governo di Varsavia che insiste per l ’invio di aerei e per il «peace keeping» ma della Nato. Attenzione, perché ognuna di queste scellerate proposte sarà tentata. Vale a dire la terza guerra mondiale tutta intera, non a pezzi: perché Putin con l’atomica non è Milosevic.

O PRENDONO IL SOPRAVVENTO le logiche del negoziato, a salvaguardia dell’Ucraina ma anche dell’Europa messa a repentaglio dall’avventura dell’aggressione all’Ucraina della Russia ma anche dal disegno sotteso finora ma ormai evidente, degli Stati uniti; oppure siamo coinvolti e in guerra.

I LEADER EUROPEI DEVONO spiegare ai propri governati com’è che la promessa di tenere fuori dalla guerra il Vecchio Continente è naufragata e quanto è stata grave la responsabilità di avere delegato la sicurezza e la politica estera dell’Unione all’Alleanza atlantica che pure secondo gli strateghi della sicurezza Usa, come Kissinger e Kennan, non doveva assolutamente allargarsi a Est, né tantomeno coinvolgersi in Ucraina. Non salvaguardando così gli accordi di Minsk con l‘indipendenza ma anche la neutralità di Kiev, che gira e rigira, tornano alla fine come contenuti realistici di ogni mediazione. Non a caso garantito solo dal “tappo” di Angela Merkel: dopo di lei il diluvio. Perché dal disastro di quegli accordi è scaturita una guerra civile durata dal 2014 e ora la ferocia di questa nuova scellerata guerra d’aggressione decisa da Putin.

Non c’è alcuna equidistanza nel denunciare questo clima di piombo e morte che ci sovrasta. E se c’è è chiaro che c’è un aggressore e un aggredito, non siamo né-né. Ma contro-contro. Contro entrambe le volontà di distruzione.

Noi rifiutiamo questa guerra. Che va fermata con attori che recitino la loro parte autorevole, autonoma e indipendente, non quella altrui.

* Fonte/autore: Tommaso Di Francesco, il manifesto



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