Ucraina. Ai colloqui di Istanbul promesse di de-escalation

Ucraina. Ai colloqui di Istanbul promesse di de-escalation

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Il Cremlino annuncia lo stop all’assedio di Kiev. Biden: «Vediamo se fanno sul serio». Kiev resta disponibile alla «neutralità», a patto che i garanti internazionali chiudano i cieli dell’Ucraina

 

Un’altra ordinaria giornata di dialogo e bombe. Il nuovo round di colloqui tra russi e ucraini ospitato ieri a Istanbul è stato «costruttivo» per Mosca e anche più per la Turchia, che ormai ci si gioca la faccia e un pezzo di Pil. Poi, che sia stato per «incrementare la fiducia» al tavolo del negoziato, come diceva l’annuncio del ministero della Difesa russo mentre il confronto aveva inizio, o per le evidenti difficoltà a sfondare militarmente che impongono al Cremlino un cambio di strategia, lo stop delle operazioni militari intorno a Kiev e all’altra città settentrionale sotto assedio dall’inizio dell’invasione, Chernihiv, è un fatto certificato anche da fonti occidentali. L’esercito ucraino già al mattino segnalava movimenti di truppe russe in ritirata.

MA È FORSE L’UNICO vero progresso stimabile sul campo, dopo le danze diplomatiche che ieri Erdogan ha voluto aprire di persona nel fantasmagorico Dolmabahce Palace sul Bosforo, prima che le due delegazioni si appartassero nella grande terrazza-ristorante. Dove neanche l’acqua minerale sarebbe stata servita per via dei veleni forse solo mediatici circolati nelle ore precedenti. Il ministro degli Esteri ucraini, Dmytro Kuleba, al mattino rivolgeva la grottesca raccomandazione di non bere o mangiare nulla ai membri della delegazione dagli schermi della tv Canale 24. Roman Abramovich era regolarmente presente, come da smentita russa sulle sue condizioni di salute.

ALLA FINE PERÒ IL MINISTRO degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, pur rivendicando «progressi mai registrati finora» nell’avvicinare le parti, ha dovuto ammettere che sulle «questioni più difficili» c’è ancora da discutere. Kiev del resto conferma che vanno bene «neutralità» e «denuclearizzazione», ma a fronte di precise e stringenti garanzie internazionali: i paesi chiamati a mettere in piedi il «meccanismo di sicurezza» di cui si è parlato già nei giorni scorsi – Usa, Regno Unito, Turchia, Cina, Francia, Israele, forse anche l’Italia – dovrebbero con ciò fornire «assistenza militare, truppe, armamenti, cieli chiusi: tutto ciò di cui abbiamo tanto bisogno ora e che non possiamo ottenere», come ha sintetizzato al termine dei colloqui il capo della delegazione ucraina, David Arakhamia, intervistato da Ukrainska Pravda.

IL PATTO EQUIVARREBBE a una sorta di articolo 5 della Nato, ha precisato il principale consigliere di Zelensky, Mykhailo Podolyak, con l’obbligo di «intervenire attivamente e legalmente» in caso di aggressione di uno dei paesi firmatari (uno a caso). In cambio di tali garanzie l’Ucraina ammainerebbe la bandiera della Nato. Ma non quella dell’adesione alla Ue, che comunque per Mosca è un tasto meno sensibile.

Oggetto dei colloqui di ieri è stata anche la questione della Crimea, che Kiev propone in sostanza di stornare, per affidarla a «negoziati bilaterali» che dovranno trovare in separata sede una soluzione. Senza fretta, «entro 15 anni».

LA STRADA È APERTA MA LUNGA, speriamo non altrettanto lunga, per arrivare anche al fatidico faccia-a-faccia tra Putin e Zelensky su cui insiste l’Ucraina. Lo ha fatto capire il capo della delegazione russa Vladimir Medinsky, abbastanza vicino a Putin da ottenere ascolto quando parla. Al termine del confronto con la controparte ucraina ha ripetuto alla Tass la sola cronologia possibile: prima le delegazioni tirano giù un trattato, poi i ministri degli Esteri lo discutono e auspicabilmente lo firmano. A quel punto si potrà parlare di un incontro tra i due capi di stato per la stretta di mano finale.

MEDINSKY HA POI SPECIFICATO che il «drastico ridimensionamento» delle operazioni russe annunciato «non equivale a un cessate il fuoco» che resta però l’«aspirazione» di Mosca. Sarà, deve aver pensato il presidente ucraino Zelensky. «I segnali che arrivano dalla piattaforma negoziale possono essere definiti positivi – ha commentato -. Naturalmente, vediamo tutti i rischi e non vediamo alcun motivo per fidarci»

A mitigare eventuali entusiasmi, rispetto agli ultimi eventi è arrivata anche l’iniziale bocciatura della Casa bianca. Non ci sono evidenze che i negoziati progrediscano «in modo costruttivo», è stato il controcanto del segretario di Stato Usa Antony Blinken, che dal Marocco dove si trovava in visita ha messo in guardia sugli annunci di ritiro russo che potrebbero puntare a «ingannare le persone e distogliere l’attenzione». Non di ritiro ma di «ridislocazione» della forza d’invasione parlano gli analisti vicini al Pentagono. Per una volta il più cauto è sembrato il presidente Biden, che al termine di un giro di telefonate con i principali leader europei è sembrato convincersi che ok, «sembra ci sia del consenso, vediamo se fanno sul serio».

PER UN VERTICE CHE SI CHIUDE altri se ne annunciano. Il portavoce del Cremlino Dmtry Peskov, dopo aver ulteriormente biasimato Biden per gli «insulti rivolti a un altro capo di stato», ha detto che «prima o poi dovremo discutere con gli Stati uniti importanti questioni riguardanti la sicurezza e la stabilità strategica».

* Fonte/autore: Marco Boccitto, il manifesto

 

ph by Kremlin.ru, CC BY 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/4.0>, via Wikimedia Commons



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