Rapporto Amnesty: «Pandemia, repressione e crisi dei diritti: anno nero»
Per forza di cose, il rapporto di Amnesty international riguardante l’anno 2021 – e stilato già molte settimane fa – non tiene conto di quanto sta accadendo in Ucraina. Né in Russia. Ma nell’introduzione al corposo documento di 576 pagine, la segretaria generale Agnès Callamard ha voluto sottolineare che, tra gli oltre 80 Paesi del mondo dove la repressione non è riuscita a fermare il dissenso, «in Russia, i raduni organizzati a sostegno del leader d’opposizione Aleksej Naval’nyi sono proseguiti anche di fronte a una quantità di arresti arbitrari di massa e procedimenti giudiziari mai vista prima». D’altronde il denso capitolo riguardante la violazione dei diritti umani, civili e politici e della libertà di espressione nel territorio russo durante l’anno scorso restituisce il quadro di un Paese che si stava già preparando al buio totale di questi giorni.
Analizzando l’Ucraina – dove continuano la tortura, le violenze di genere e gli attacchi omofobi, malgrado «nuove leggi» introdotte per contrastare tali crimini – Amnesty international scrive che «gli organi d’informazione sono stati generalmente liberi e diversificati, anche se una manciata di media sono stati presi di mira in modo selettivo dalle autorità» perché «percepiti come filorussi e accusati dal servizio di sicurezza ucraino». Per quanto riguarda la Crimea invece si legge: «Le autorità de facto hanno continuato il giro di vite sulla libertà d’espressione e su ciò che rimaneva del dissenso. I media liberi sono stati repressi e chi lavorava per loro ha dovuto fare i conti con gravi ritorsioni».
Non che il resto del mondo stia messo molto meglio: «Nel 2021, in almeno 67 Stati sono state introdotte nuove leggi per limitare le libertà di espressione, di associazione o di manifestazione. Almeno 36 Stati degli Usa hanno approvato un’ottantina di provvedimenti per restringere la libertà di manifestazione, mentre il governo del Regno Unito ha proposto una legge che penalizzerebbe gravemente la libertà di riunione pacifica, anche attraverso l’ampliamento dei poteri di polizia. Le autorità di Cuba, Eswatini, Iran, Myanmar, Niger, Senegal, Sudan e Sud Sudan hanno bloccato o limitato Internet per impedire la condivisione di informazioni e l’organizzazione di proteste». Per non parlare della Cina e di Hong Kong dove Amnesty è stata costretta a chiudere l’ufficio locale aperto 30 anni fa: «È stata una decisione sofferta. Sintomatica del fatto che tutelare i diritti e denunciarne le violazioni è sempre più difficile e pericoloso», ha spiegato Riccardo Noury, portavoce di AI Italia.
D’altronde, nel ricordare i «nuovi e irrisolti conflitti scoppiati o proseguiti in Afghanistan, Burkina Faso, Etiopia, Israele/Territori palestinesi occupati, Libia, Myanmar e Yemen», Callamard sottolinea «l’inefficacia della risposta internazionale a queste crisi» resasi «ancora più evidente dalla paralisi del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che non ha agito sulle atrocità in Myanmar, sulle violazioni dei diritti umani in Afghanistan e sui crimini di guerra in Siria». «Questa vergognosa mancanza d’azione – scrive Amnesty – la costante paralisi degli organismi multilaterali e la mancata assunzione di responsabilità delle potenze hanno contribuito a spalancare la porta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha violato nel modo più evidente il diritto internazionale».
Il rapporto Amnesty 2021 comincia però con un bilancio sulla pandemia e non a caso sarà lanciato in Sudafrica, il Paese che insieme all’India già nell’ottobre 2020 chiedeva di abolire i brevetti sui vaccini e dove a maggio 2021 «circa 750 mila bambini avevano abbandonato l’istruzione, un numero tre volte superiore al periodo pre-pandemico». Con meno dell’8% di vaccinati completi alla fine del 2021, infatti, «l’Africa ha il tasso di vaccinazione più basso al mondo, a causa delle insufficienti forniture» provenienti da Covax, dal Fondo di acquisizione ad hoc e dalle donazioni bilaterali. Ma nel mondo sono tanti i Paesi per i quali il Covid-19 è ancora un dramma: «In Venezuela – riferisce Amnesty ponendo lo Stato sudamericano tra quelli dove la crisi è più sentita – la pandemia ha peggiorato la preesistente emergenza umanitaria: lo scorso anno il 94,5% della popolazione viveva con un reddito da povertà, il 76,6% in estrema povertà».
Una disparità, quella della campagna di vaccinazione mondiale, che comporta conseguenze perfino nei Paesi occidentali e «ha anche seminato il terreno per più grandi confitti e per una maggiore ingiustizia».
* Fonte/autore: Eleonora Martini, il manifesto
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