by Leonardo Clausi * | 16 Marzo 2022 9:21
WikiLeaks. La Corte suprema inglese nega il ricorso. Ora manca solo la ratifica della ministra Patel. Amnesty: «Un duro colpo per la giustizia, un pericoloso precedente»
«È un duro colpo per Julian Assange e per la giustizia. La Corte Suprema ha perso un’occasione per chiarire l’accettazione da parte del Regno Unito di assicurazioni diplomatiche profondamente errate contro la tortura. Tali assicurazioni sono intrinsecamente inaffidabili e lasciano le persone a rischio di gravi abusi in caso di estradizione o altro trasferimento». È l’incipit del comunicato stampa rilasciato ieri da Amnesty International sulla sentenza della più alta corte del Regno Unito emessa lunedì che ha negato la possibilità di appello al fondatore di WikiLeaks contro una decisione che ne consentisse l’estradizione negli Stati uniti perché non c’erano argomenti sostanziali in materia di diritto.
GLI AVVOCATI di Assange avranno quattro settimane per presentare osservazioni e obiezioni alla ministra dell’Interno Patel prima della sua decisione. Vi sarebbero altre vie superstiti per combattere la sua estradizione/deportazione. Si concentreranno su altre questioni di diritto sollevate dalla sentenza in primo grado che ha perso e che non sono ancora state oggetto di appello. Il team legale di Assange ha anche indicato che potranno presentare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Resta il fatto che l’attivista e giornalista australiano fondatore di Wikileaks è ormai a un passo dall’essere estradato, la sua sorte è ora nelle mani della leggendaria ministra dell’Interno Priti Patel, che non desidera altro che ratificare la sentenza per chiuderlo in una galera a stelle e strisce (e perché non la stessa Guantanamo che lo stesso Obama doveva chiudere nel 2009 come prima azione del suo doppio mandato?).
Continua il comunicato di Amnesty: «La richiesta che stati come il Regno Unito estradino degli individui per la pubblicazione di informazioni riservate che sono nell’interesse pubblico costituisce un pericoloso precedente e deve essere respinto. Gli Stati uniti dovrebbero ritirare immediatamente le accuse contro Julian Assange». L’Alta Corte aveva stabilito nel dicembre 2021 che Assange poteva essere estradato, sulla base delle presunte promesse degli Stati uniti di salvaguardarlo in prigione. Avevano assicurato per iscritto che, se estradato, Assange non sarebbe stato rinchiuso in un carcere di massima sicurezza o sottoposto a misure amministrative speciali; e avrebbe ricevuto un’assistenza sanitaria adeguata.
L’isolamento prolungato è una caratteristica fondamentale di molti prigionieri nelle carceri di massima sicurezza statunitensi e ai sensi del diritto internazionale costituisce tortura bella e buona. Gli Usa hanno promesso di non infliggere ad Assange tortura alcuna ma è perfettamente ipotizzabile che, approfittando dell’attenzione internazionale rivolta altrove, tale promessa sia bellamente disattesa.
COM’È BEN NOTO, le autorità nordamericane volevano da tempo mettere le mani addosso ad Assange per aver fondato di Wikileaks, un sito web che nel 2011 aveva pubblicato notoriamente una serie di file riservati del governo degli Stati uniti che rivelavano documenti delle guerre liberaldemocratiche in Afghanistan e Iraq (quelle che nemmeno vagamente suscitarono lo sdegno vibrante degli editorialisti nostrani pur avendo ammazzato dieci volte tanto) insieme a filmati militari di vittime civili dalle operazioni statunitensi.
In seguito al coinvolgimento di Wikileaks, Assange aveva trovato rifugio in diversi paesi, inclusa la Svezia, dove aveva dovuto affrontare accuse di stupro (poi quasi del tutto smontate) da parte dell’autorità giudiziaria svedese prima di trovare rifugio in Inghilterra, nella famigerata sede diplomatica dell’Ecuador.
E LUNEDÌ, nel bel mezzo del macello ucraino, quella che sarebbe stata una notizia a dir poco eclatante è stata infilata sotto al tappeto dello sdegno universale per il mortifero imperialismo russo scatenato nelle ultime settimane. Assange deve, materialmente, la sua sventura all’invasione putiniana. Essenzialmente, al vendicativo umanitarismo a orologeria yankee.
* Fonte/autore: Leonardo Clausi, il manifesto[1]
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