by Anna Maria Merlo * | 15 Febbraio 2022 9:37
Precipizio ucraino. Ma il fronte occidentale rimane incrinato: sulle misure ogni paese europeo cerca di pagare il meno possibile le conseguenze
L’Osce, l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, 57 paesi membri, si riunisce a Vienna oggi, mentre parte del personale è in partenza dal Donbass per ragioni di «sicurezza». Lo ha annunciato la presidenza polacca, senza precisare se la Russia sarà presente: l’Ucraina ha chiesto la riunione, denuncia la mancanza di informazioni sugli spostamenti delle truppe russe, mentre il documento di Vienna dell’Osce aveva stabilito la “trasparenza” tra paesi membri (la presenza dell’Osce, dispiegata il 21 marzo 2014, era uno degli elementi del cessate il fuoco). Domani e giovedì, c’è un vertice dei ministri della Difesa della Nato a Bruxelles, decisa da tempo. Il segretario, Jens Stoltenberg, ha ancora ripetuto: «la coesione è totale» tra alleati.
Dopo il viaggio a Mosca e Kiev di Emmanuel Macron la scorsa settimana, è ora il cancelliere tedesco – con tappe invertite, prima Kiev poi Mosca – che prosegue il tentativo di dialogo per evitare quella che ieri il premier britannico Boris Johnson ha definito «la catastrofe» che minaccia l’Europa, invitando Putin a «fare un passo indietro dal precipizio». L’Eliseo fino a sabato ha sostenuto che ci sono segnali dal Cremlino di «disponibilità» a proseguire il dialogo. Ma ieri, il ministero degli Esteri è stato più pessimista, di fronte a una situazione definita «complicata, aleatoria»: due tesi coesistono al Quai d’Orsay, da un lato la diplomazia francese rileva che un’offensiva, questa settimana, è possibile, ma dall’altro sottolinea che Putin potrebbe voler «proseguire il piacere» di tenere tutti sulla corda, per ottenere delle concessioni. La Francia sottolinea che le riunioni del Formato Normandia, per l’applicazione degli Accordi di Minsk, sono riprese e devono proseguire (e, come la Ue, non fa rientrare il personale diplomatico da Kiev, a differenza di altri paesi Ue).
L’attività diplomatica continua a un ritmo sostenuto, anche Luigi Di Maio oggi è a Kiev, mercoledì a Mosca. La telefonata di Mario Draghi a Putin, giorni fa, per garantire le forniture di gas all’Italia, ha irritato non poco in sede Nato. Ma è il sintomo delle molte incrinature nel fronte occidentale, malgrado le dichiarazioni ufficiali di «unità» senza falle e «determinazione» nella risposta: il G7, sotto presidenza tedesca, ha minacciato «sanzioni enormi» contro la Russia se ci sarà un’invasione dell’Ucraina.
Più o meno le stesse parole usate dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che ha parlato di «conseguenze enormi». Gli europei proseguono in una «doppia strategia»: da un lato, ci sono le minacce di sanzioni, dall’altro resta l’apertura al dialogo con Mosca. Ma sulle sanzioni, ogni paese cerca di pagare il meno possibile le conseguenze e nelle capitali della Ue coesistono molte sfumature. Non c’è solo il caso emblematico della Germania e della sua grande dipendenza dall’import di gas russo (55%, circa 10 punti di più della media Ue): per gli Usa, fin dall’inizio ostili, la pipeline North Stream2 diretta tra Russia e Germania, i cui lavori sono ultimati ma che non è ancora operativa in attesa della decisione del regolatore tedesco, deve essere utilizzata come elemento della minaccia, mentre la Ue nei sui documenti finora non la cita. Bloccare il gas, può avere effetti controproducenti, facendo ancora salire i prezzi (che già si sono moltiplicati, solo ieri c’è stato un aumento del 13%).
L’ambasciatore russo in Svezia, Viktor Tatarintsev, ha detto: «non ce ne frega un bel niente delle loro sanzioni, né abbiamo già avute tante e hanno persino avuto effetti positivi sulla nostra economia e sulla nostra agricoltura» (le sanzioni del 2014 hanno avuto effetti limitati, il pil russo è diminuito solo dello 0,2% secondo l’Fmi). L’occidente non rivela i dettagli delle sanzioni allo studio, per lasciare spazio alla «sorpresa», ma sono sul tappeto l’esclusione della Russia dal sistema Swift, il servizio di transazioni rapide e sicure che unisce più di 200 paesi (come è stato fatto contro l’Iran nel 2018).
C’è la proibizione dell’export di componenti di alta tecnologia. Delle sanzioni mirate contro gli oligarchi (qui la Gran Bretagna avrebbe le armi vista la presenza di capitale russo, ma Londongrad frena). L’export della Ue verso la Russia è stato di 80 miliardi nel 2020, per la Russia il commercio con la Ue pesa il 37% (4,8% viceversa). Intanto, la Bulgaria sta dando dei passaporti «golden» a grandi banchieri russi.
* Fonte/autore: Anna Maria Merlo, il manifesto[1]
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