Guerra in Ucraina. Anche in Russia si protesta contro l’invasione

Guerra in Ucraina. Anche in Russia si protesta contro l’invasione

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Le truppe russe hanno attaccato l’Ucraina distruggendo in gran parte il suo potenziale difensivo: arsenali, aeroporti e centri di comando. L’operazione si muove su tre fronti: da est (Donbass) dal nord (Bielorussia) e dal sud (Crimea e Mar nero). La risposta delle forze dell’ordine contro chi ha manifestato è stata la stessa già vista in più occasioni in passato: tanti arresti, quasi ottocento

 

Con un attacco cominciato all’alba e condotto per tutta la giornata contro obiettivi militari, il capo del Cremlino, Vladimir Putin, ha trasferito dai palazzi della diplomazia alle caserme dell’esercito il piano con cui intende modificare l’architettura della sicurezza in Europa. Le forze armate russe hanno distrutto in un solo giorno di guerra gran parte del potenziale difensivo dell’Ucraina. Aeroporti. Arsenali. Centri di controllo e di comando.

IN DECINE DI CITTÀ. Su un territorio lungo quasi mille chilometri. Il sistema antiaereo del paese, per stessa ammissione dello stato maggiore di Kiev, già ieri non esisteva più. I militari russi hanno preso persino il territorio attorno alla centrale di Chernobyl, a un centinaio di chilometri dalla capitale.

La decisione assunta a Mosca di tenere chiuso sino al 2 di marzo un gran numero di scali nella Russia del sud fissa almeno sulla carta una scadenza temporale a questa operazione. Che ricorda per molti versi la breve campagna intrapresa nel 2008 in Georgia.

Ma senza provocazioni. E con proporzioni decisamente più vaste. L’offensiva si muove su tre fronti. Da est, e quindi dalle regioni di Donetsk e di Lugansk. Da sud, ovvero dalla Crimea e dalle navi schierate nel Mar Nero. E poi da nord, dal confine bielorusso, lungo il quale si trovavano da giorni trentamila militari russi, ufficialmente per esercitazioni.

PUTIN HA DESCRITTO le ragioni di quella che ha chiamato «operazione speciale di guerra» in un video che la tv pubblica ha trasmesso ieri, alle prime ore del mattino. In quei pochi minuti è parso teso e stanco. Ha parlato della richiesta di sostegno militare ricevuta dalle repubbliche ribelli di Donetsk e Lugansk, che lui stesso aveva riconosciuto lunedì, e della cornice legale costruita attorno l’intervento, una cornice che il Consiglio della federazione ha completato in settimana con il via libera all’impiego delle forze armate all’estero.

Nel video ha ribadito il proposito di «smilitarizzare» e «denazificare» l’Ucraina. E ha sistemato questa guerra lungo una linea di continuità con la lotta al terrorismo condotta in Cecenia vent’anni fa; con l’intervento in Siria di fronte alla minaccia dello stato islamico; e con l’annessione della Crimea. Dopodiché ha lanciato una terribile minaccia a i governi che potrebbero intralciare i piani russi, facendo riferimento, forse, ai paesi Baltici, oppure alla Turchia, che ha ricevuto la richiesta dall’Ucraina di chiudere l’ingresso al Mar Nero alle navi russe.

SERVIZI SEGRETI OCCIDENTALI ritengono che il messaggio di Putin sia stato registrato lunedì, dopo il vertice al Cremlino con il Consiglio di Sicurezza e dopo la firma sugli accordi militari con i rappresentanti di Donetsk e di Lugansk.

Che cosa è accaduto nei tre giorni che hanno separato il video e la decisione di procedere con l’esercito? È possibile che negoziati informali con gli Stati Uniti siano andati avanti, coperti dal massimo livello di riserbo di cui la diplomazia è capace. Ed è possibile che quei negoziati abbiano raggiunto un limite considerato da Putin e dai suoi consiglieri come invalicabile.

Forse in quella stessa condizione russi e americani si erano già trovati altre volte nel corso degli ultimi mesi, ed è stato in quelle circostanze che il capo della Casa Bianca, Joe Biden, ha lanciato i suoi appelli, ritenuti allarmistici dagli stessi ucraini, su una invasione «imminente».

L’ULTIMO ATTO di Washington prima dell’invasione è stata la firma su misure economiche che riguardano il gasdotto Nord Stream 2. «Ora è soltanto un pezzo di ferro in fondo al mare», ha detto il portavoce del dipartimento di stato. Poche ore più tardi la registrazione di Putin è stata trasmessa dalla tv russa.

È come se con questa operazione il Cremlino avesse cercato di ottenere sul piano militare quelle «garanzie scritte» sulla sicurezza a cui il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha lavorato negli ultimi mesi. Ieri i diplomatici hanno lasciato la strada ai militari. Il risultato di questa scelta non è sicuro.

Prima di tutto perché le possibilità di ottenere ascolto dagli Stati Uniti e dall’Unione europea non sembrano affatto cresciuto. E poi perché la guerra all’Ucraina rischia di sollevare forti proteste nelle grandi città russe. Gli indici di Borsa hanno toccato il minimo storico. Il rublo è scambiato quasi a cento contro l’euro. L’ultimo sondaggio del Levada Center dice che il 60 per cento dei cittadini attribuisce la responsabilità di quanto accade sia comunque della Nato.

Ma in oltre quaranta città, a partire da Mosca e San Pietroburgo, migliaia di persone sono scese in strada in segno di protesta. La risposta delle forze dell’ordine è stata la stessa già vista in più occasioni in passato: tanti arresti, quasi ottocento, secondo il ministero dell’Interno.

* Fonte/autore: Luigi De Biase, il manifesto



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