Droni armati dell’«alleata» Turchia all’esercito ucraino
La visita di Erdogan il «filorusso» e il mercato di armi atlantiche. Mosca teme l’uso, confermato dallo Stato maggiore ucraino, dell’arma contro i separatisti. Preoccupata anche Washington per il loro utilizzo nel conflitto in atto in Etiopia
La Turchia dal 2010 è uno dei produttori più importanti nel mondo dei droni armati. I suoi droni hanno avuto un impatto forte sull’andamento dei conflitti in Libia, Azerbaigian ed Etiopia.
Il numero uno del mercato nazionale è la famiglia Bayraktar, il 42enne SEO dell’azienda, Selçuk Bayraktar è anche genero del presidente della Repubblica Erdogan. Oltre ai paesi in guerra ci sono anche altri acquirenti di questa nuova arma Made in Turkey; Serbia, Qatar, Kuwait, Tunisia e Ucraina.
Durante la visita del presidente Erdogan a Kiev, il 3 febbraio, è stato firmato un nuovo accordo per produrre i droni turchi anche in Ucraina. La questione ha scatenato le immediate reazioni di Mosca. Già nel mese di ottobre del 2021, Sergej Lavrov, Ministro degli Affari Esteri russo aveva comunicato che con «grande preoccupazione» stava verificando l’eventuale utilizzo dei droni turchi da parte del governo ucraino.
Pochi giorni dopo il capo di stato maggiore ucraino aveva confermato che nelle operazioni militari nel Donbass erano stati utilizzati i droni a marca Bayraktar.
La Turchia produce droni armati da circa 12 anni, il periodo in cui le relazioni con gli Usa e Israele, i primi produttori mondiali, peggioravano ogni giorno che passava. Ovviamente la decisione del Congresso di non vendere droni ad Ankara per via della crisi diplomatica scoppiata con Tel Aviv a causa dell’attentato fatto contro la nave turca, Mavi Marmara, nel 2010, ha reso ancora più difficile la situazione.
L’allontanamento politico, economico e militare tra gli alleati della Nato, soprattutto nella guerra siriana ha reso quasi obbligatoria la scelta di Ankara. Senz’altro l’idea di avere il proprio drone armato è stata utilizzata nel periodo elettorale per coccolare l’elettorato nazionalista e per tenere viva quella storica cultura militarista presente in Turchia.
Le vendite dei droni turchi è cresciuta del 34% nel 2019 incassando 2,74 miliardi di dollari. La Turchia vorrebbe superare la soglia dei 10 miliardi nel 2023. Tuttavia sembra che questi droni Ankara non li stia producendo da sola.
Il quotidiano britannico The Guardian nel 2019, sosteneva che l’azienda Bayraktar comprasse un componente importante dei suoi droni da un’azienda inglese, EDO MBM Technology. Secondo, Project Ploughshares, la fondazione canadese di monitoraggio sugli armamenti, durante il conflitto azero-armeno, i droni utilizzati avevano alcuni componenti comprati dalla sezione canadese dell’azienda L3Harris Technologies.
Quindi nel mese di ottobre del 2020, il governo canadese aveva sospeso momentaneamente la vendita di alcuni prodotti militari ad Ankara per indagare su queste notizie. Infine nel mese di agosto del 2020, rispondendo a un’inchiesta parlamentare, il ministero dell’Economia della Germania aveva comunicato che dal 2009 al 2018 Berlino aveva venduto a Ankara 33 diversi componenti necessari per la produzione dei droni armati, per un valore pari a 12,8 milioni di euro.
I droni non sono 100% Made in Turkey, anzi sembra che siano il risultato di una sorta di joint venture della Nato. Tuttavia sembra che i droni turchi scombussolino alcune dinamiche in quelle zone «importanti» per il patto transatlantico.
Infatti secondo la Reuters, l’ex inviato statunitense del Corno d’Africa, Jeffry Feltman, durante la sua visita in Turchia nel mese di dicembre del 2021, aveva espresso le preoccupazioni di Washington nell’utilizzo dei droni armati turchi nel conflitto in atto in Etiopia.
Tuttora non è chiaro che tipo di reazione potrebbe avere Mosca nel caso in cui in un conflitto armato Kiev decidesse di usare i droni turchi. Si teme di vivere l’esperienza del 2015, ossia l’abbattimento del Su-24 russo in Siria da parte dell’esercito turco.
Senz’altro da quel momento fino a oggi le relazioni tra Mosca e Ankara si sono rafforzate molto anche se si basano sempre sul reciproco sfruttamento ma allo stesso tempo oggi possiamo dire che Ankara è più isolata di prima e lontana dai suoi storici alleati.
Dunque una crisi politica con Mosca se comportasse l’attivazione di una serie di sanzioni economiche come quelle del 2015 per la Turchia, in profonda crisi economica, sarebbe l’inizio di uno scenario catastrofico.
* Fonte/autore: Murat Cinar, il manifesto
ph by Talha Işık, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
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