Crisi ucraina. Putin in diretta riconosce l’indipendenza di Donetsk e Lugansk
Atto d’imperio. La firma dopo un lungo intervento in tv: «Kiev nelle mani di oligarchi corrotti». E critica Lenin: «Creò lui l’Ucraina»
Con un lungo messaggio alla nazione trasmesso alla tv di stato il presidente russo, Vladimir Putin, ha riconosciuto l’indipendenza delle due regioni ucraine che hanno dichiarato l’indipendenza dopo la guerra civile del 2014, la repubblica popolare di Donetsk e la sua gemella di Lugansk. La decisione rappresenta una svolta pesante nella crisi in corso ormai da mesi al confine orientale dell’Europa.
IL PRIMO EFFETTO del riconoscimento è la fine dei negoziati con il governo di Kiev per lo status delle due regioni. I negoziati si sono svolti sinora sulla base degli accordi firmati a Minsk nel 2015, accordi che l’Ucraina non ha mai voluto portare a compimento per non riconoscere a Donetsk e Lugansk uno status speciale. Il secondo effetto è il probabile ingresso delle truppe russe dentro il territorio delle due repubbliche autonome. Occorre ricordare, a questo proposito, che una parte del territorio che le autorità ribelli reclamano è da sette anni un campo di battaglia conteso dall’esercito ucraino. Ora le possibilità di uno scontro militare aumentano in modo significativo.
PUTIN HA DEFINITO L’UCRAINA un paese corrotto, pilotato dall’estero e nelle mani di bande neofasciste. E ha avanzato, fra personali interpretazioni storiche, anche una critica al leninismo. «Il Donbass all’Ucraina è una creatura di Lenin. Loro adesso abbattono le statue di Lenin. La chiamano decomunistizzazione. Volete la decomunistizzazione? Ora la faccio io. Ma non mi fermo a metà. Faccio quella vera». Una volta terminato il discorso, durato cinquanta minuti, Putin ha firmato il decreto, sempre davanti alle telecamere.
HANNO ANTICIPATO la decisione due fatti che è opportuno riportare. Il primo è lo scontro a fuoco alla frontiera russa che sarebbe costato la vita a cinque militari ucraini. Secondo le ricostruzioni del ministero della Difesa, i cinque facevano parte di un gruppo di «ricognizione e sabotaggio». Da Kiev hanno smentito che l’incidente sia mai avvenuto. È un episodio in una guerra che ha fatto tredicimila vittime in otto anni di combattimenti. Il secondo fatto è il discorso con cui i due presidente delle repubbliche ribelli, Denis Pushilin e Leonid Pesechnik, hanno fatto appello a Putin affinché riconoscesse la loro indipendenza. «Questa decisione non avrebbe prezzo per la nostra gente», hanno detto i due: «Ci sentiamo russi nello spirito, la nostra ambizione è essere integrati nella vostra società».
Nel discorso di Pushilin e Pesenchik numerosi riferimenti alle radici comuni, al destino della nazione, alla lotta contro storici nemici, insomma alla corrente patriottica, e in parte apocalittica, a cui Putin fa sovente riferimento nei suoi discorsi pubblici. È uno schema molto simile a quello seguito nel 2014 per integrare la Crimea. Allora c’era stato anche un discusso referendum. Questa volta, evidentemente, il voto è stato ritenuto superfluo.
IL PRIMO CANALE della tv russa ha trasmesso per tutto il pomeriggio le immagini del vertice, e per tutto il pomeriggio le immagini trasmesse dal Cremlino e i commenti degli esperti di politica estera si sono intrecciati con le interviste agli atleti di ritorno dalle Olimpiadi invernali di Pechino. Due celebrazioni parallele di patriottismo. Se quel canale non fosse imbottito di suggeritori del presidente, si potrebbe pensare a una casualità.
Nel corso del vertice Putin ha preteso l’opinione personale di tutti i rappresentanti che aveva di fronte. Il segretario del Consiglio di sicurezza, Nikolai Patrushev, considerato un falco ai piani alti di Mosca, ha detto nel suo intervento che la Russia ha bisogno, sì, di negoziare, «ma soltanto con gli Usa, perché tutti gli altri faranno quel che gli americani; per adesso stanno nascondendo il loro vero obiettivo, che è distruggere la nostra Federazione».
IL NUMERO DUE dell’organismo, l’ex presidente Dmitri Medvedev, ha detto di essere a favore del riconoscimento, dato che non ci sono altre opzioni. Sulla stessa linea Valentina Matvinenko del Consiglio federale russo. Il ministro della Difesa, Sergei Shoigu ha ricordato che lungo la linea del fronte ci sono «59.300 soldati ucraini», e che adesso il governo sta anche pensando di «dotarsi di armi nucleari». Il capo della diplomazia, Sergei Lavrov, ha avanzato l’ipotesi di aspettare ancora qualche giorno per dare la possibilità, probabilmente l’ultima, all’Ucraina di applicare i famosi accordi di Kiev. Ma in ogni caso, ha detto Lavrov, «nulla cambierebbe». Quello più confuso è parso il direttore del controspionaggio, Sergei Naryshkin, che ha chiesto l’annessione di Donetsk e Lugansk, anziché il riconoscimento. Putin lo ha ripreso senza risparmio di sarcasmo. Dopodiché, Putin si è ritirato per la riflessione finale. Del riconoscimento si parla da giorni. La Duma ha votato la proposta lo scorso lunedì. Putin l’ha discussa con il Consiglio di sicurezza una prima volta il giorno seguente. Eppure, secondo il network americano Bloomberg, le istituzioni europee e quelle dell’Alleanza atlantica non avrebbero preso in considerazione questo scenario nelle riunioni, sono state decine, delle ultime settimane. Neanche per stabilire quali sanzioni applicare.
* Fonte/autore: Luigi De Biase, il manifesto
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