by Luca Martinelli * | 2 Febbraio 2022 9:23
In crisi raccolta e smaltimento. Nel rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità si stima che ogni giorno del 2020 siano finite nella spazzatura fino a 3,4 miliardi di mascherine. Almeno il 30% delle strutture sanitarie (il 60% nei Paesi poveri) non è attrezzato allo smaltimento
Decine di migliaia di tonnellate di rifiuti extra hanno messo a dura prova i sistemi di gestione dei rifiuti sanitari in tutto il mondo minacciando la salute umana e ambientale: è l’allarme lanciato dall’Organizzazione mondiale della Sanità che ieri ha pubblicato il rapporto sul Covid-19 e i rifiuti medici e ospedalieri in cui si stima che ogni giorno siano finite nella spazzatura fino a 3,4 miliardi di mascherine.
Il poderoso documento – Global Analysis of Health Care Waste in the context of Covid-19[1] – stima per esempio in circa 87mila tonnellate il peso dei dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti) acquistati tra marzo 2020 e novembre 2021 e spediti soprattutto ai Paesi poveri attraverso un programma coordinato dalle Nazioni Unite, la maggior parte di questo equipaggiamento si prevede sia stato smaltito come rifiuto.
Gli autori del rapporto – che operano all’interno dell’Unità dell’Oms che si occupa di acqua, servizi igienici, igiene e salute – avvertono che questa stima fornisce solo un’indicazione iniziale della scala del problema non prendendo in considerazione i prodotti acquistati al di fuori dell’iniziativa Onu, né i rifiuti generati dal pubblico come le maschere monouso. Fare un bilancio è difficile, spiega l’Oms, tuttavia esistono numerose ricerche che danno una misura dell’entità del problema. Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo ha calcolato che la pandemia ha aumentato la quantità di rifiuti sanitari a 3,4 chili al giorno per ogni letto ospedaliero, che è circa 10 volte di più rispetto ai tempi pre-pandemia.
Nel rapporto dell’Oms si fa notare inoltre che sono stati spediti più di 140 milioni di kit di test, con un potenziale di generare 2.600 tonnellate di rifiuti non infettivi (principalmente plastica) e 731mila litri di rifiuti chimici (equivalenti a un terzo di una piscina olimpionica). Anche le dosi di vaccino somministrate a livello globale, oltre 8 miliardi, hanno prodotto 144mila tonnellate di rifiuti aggiuntivi sotto forma di siringhe, aghi e scatole di sicurezza.
L’emergenza, è la tesi dell’Oms, ha reso meno stringente l’attenzione alla gestione sicura e sostenibile dei rifiuti sanitari. «È assolutamente vitale fornire agli operatori sanitari i giusti dpi», ha detto il dottor Michael Ryan, direttore esecutivo del programma emergenze sanitarie dell’Oms, ma lo è anche – ha aggiunto – «garantire che possano essere utilizzati in modo sicuro senza avere un impatto sull’ambiente circostante».
Servirebbe una guida per gli operatori sanitari su cosa fare con i dpi e i prodotti sanitari dopo il loro utilizzo, ma ad oggi almeno il 30% delle strutture sanitarie (che diventa il 60% nei Paesi poveri) non è attrezzato per gestire i carichi di rifiuti esistenti, per non parlare del carico aggiuntivo Covid-19. Non è solo ambientale il problema, ma sanitario: «Questo espone potenzialmente gli operatori sanitari a ferite da puntura d’ago, ustioni e microrganismi patogeni, mentre ha anche un impatto sulle comunità che vivono vicino a discariche mal gestite e siti di smaltimento dei rifiuti attraverso l’aria contaminata dai rifiuti che bruciano, la scarsa qualità dell’acqua o i parassiti che portano malattie» spiega il comunicato dell’Oms. «Il Covid ha costretto il mondo a fare i conti con le lacune e gli aspetti trascurati del flusso dei rifiuti e di come produciamo, usiamo e scartiamo le nostre risorse sanitarie, dalla culla alla tomba», ha commentato la dottoressa Maria Neira che dirige il Dipartimento di sanità pubblica, ambiente e determinanti sociali della salute all’Oms.
Il rapporto espone una serie di raccomandazioni per integrare pratiche migliori, più sicure e sostenibili dal punto di vista ambientale nell’attuale risposta al Covid e per il futuro. Le raccomandazioni includono l’uso di imballaggi e spedizioni ecocompatibili, dpi sicuri e riutilizzabili, materiali riciclabili o biodegradabili, nuovi investimenti in tecnologie di trattamento dei rifiuti non combustibili, come le autoclavi. Ma anche una logistica «inversa», per sostenere il trattamento centralizzato, e investimenti nel settore del riciclaggio per garantire che i materiali, come la plastica, possano avere una seconda vita.
L’emergenza Covid dovrebbe aiutare il settore sanitario a traghettare nell’era dell’economia circolare ma la rivoluzione non pare alla portata: per realizzarle servirebbero – secondo l’Oms – «politiche e regolamenti nazionali forti, azioni di monitoraggio e maggiore responsabilità, sostegno a cambiamenti nei comportamenti, maggiori budget e finanziamenti». Tutte cose che al momento non si vedono.
* Fonte/autore:
il manifesto[2]
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