Algeria. Carcerati in sciopero della fame, ma il governo nega la loro esistenza

by Stefano Mauro * | 16 Febbraio 2022 10:05

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Più di cento fra giornalisti e attivisti del movimento Hirak, incarcerati per reati d’opinione. Intanto Amnesty denuncia la «dura repressione governativa» contro l’opposizione

Resta ancora forte la pressione di numerosi partiti di opposizione e della Lega algerina per i diritti dell’uomo (Laddh) nei confronti del governo algerino riguardo alla situazione di numerosi prigionieri d’opinione in sciopero della fame e di cui, al contrario, la Procura di Algeri ha negato «l’esistenza».
Dalla fine di gennaio una quarantina di detenuti di coscienza – prevalentemente giornalisti, blogger e attivisti legati al movimento di protesta Hirak – ha iniziato uno sciopero della fame nella prigione di El Harrach (Algeri) per protestare «contro le accuse di attentato all’integrità dello stato o altri capi di imputazione simili», come rivendicato dalla Laddh e dai loro avvocati

SECONDO quanto ha riferito il quotidiano algerino El Watan, «molti di questi detenuti sono stati trasferiti nelle carceri di Berrouaghia e Bouira», provvedimento che, secondo Abdelghani Badi (uno degli avvocati della difesa) sembra essere «una violazione del loro diritto di protestare e una misura punitiva». «Denunciamo il rifiuto della direzione del carcere di applicare l’articolo 64 della legge sugli istituti penitenziari che prevede particolari tutele per chi fa lo sciopero della fame – ha affermato Badi –, come siamo sorpresi dalle dichiarazioni dell’accusa che, attraverso un comunicato ufficiale, ha negato l’esistenza di un tale movimento di protesta».
I dati forniti dalla Laddh affermano, al contrario di quanto sostenuto dalle autorità governative, che nella scorsa settimana sarebbero stati trasferiti «almeno 23 detenuti da El Harrach», mentre il reale numero delle persone in sciopero supera «i 100 detenuti nel solo carcere di Algeri». «Sono numerose le testimonianze di violenze fisiche e psicologiche nei confronti del movimento di protesta nelle carceri – ha aggiunto Said Salhi, vicepresidente della Laddh – come il continuo rinvio delle udienze per allungare la loro detenzione o il loro trasferimento forzato in altre prigioni».
All’approssimarsi dell’anniversario, il 22 Febbraio 2019, dell’Hirak – il movimento di protesta che portò alle dimissioni dell’allora presidente Bouteflika e che mirava al cambiamento del sistema politico algerino fondato su corruzione e clientelismo – la repressione governativa sembra ancora presente contro i suoi attivisti.

SE DA UNA PARTE l’Hirak è riuscito nella sua richiesta di dimissioni nei confronti di Bouteflika, dall’altra le proteste non hanno impedito al «sistema» di eleggere un presidente della repubblica (Abdelmajid Tebboune) ed un parlamento delegittimati in entrambe le tornate elettorali da un’elevatissima astensione (oltre l’80%). La presidenza di Tebboune – che inizialmente aveva “benedetto” la volontà di rinnovamento dell’Hirak – ha lentamente fiaccato le oceaniche manifestazioni pacifiche degli algerini fino reprimerle e vietarle con arresti di massa e leggi che vietavano «cortei non autorizzati dalle prefetture».
Al riguardo lo scorso mercoledì Amnesty International ha denunciato «la dura repressione governativa che ultimamente ha colpito i partiti politici di opposizione». «In quest’ultimo anno le autorità algerine hanno chiuso le sedi di alcuni partiti, hanno condannato leader di partito e represso in modo brutale qualsiasi forma di dissenso – afferma il documento – portando ad almeno 251 il numero delle persone attualmente detenute per aver esercitato i loro diritti alla protesta pacifica e alla libera espressione».

AMNESTY si riferisce a Fethi Ghares, coordinatore del Movimento Democratico e Sociale (Mds), condannato il 9 gennaio dal tribunale di Bab el Oued (Algeri) a due anni di reclusione «per aver criticato l’attuale presidente», e all’arresto di almeno 60 membri, inclusi ex parlamentari, del Raggruppamento per la Cultura e Democrazia (Rdc) uno dei principali partiti di opposizione. Anche il recente scioglimento dell’associazione giovanile Raj per «false accuse relative all’organizzazione di attività non corrispondenti ai suoi statuti» e il congelamento delle attività del Partito Socialista dei Lavoratori (Pst) sono «segnali preoccupanti».
«L’Algeria deve porre fine alla repressione contro tutte le forme di dissenso, tenendo conto che la Costituzione algerina garantisce il diritto alla libertà di espressione per i partiti politici», ha affermato nel comunicato stampa Amna Guellali, vicedirettrice per il Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty.

* Fonte/autore: Stefano Mauro, il manifesto[1]

 

 

ph by Terrafka, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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  1. il manifesto: https://ilmanifesto.it/

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