Afghanistan. I talebani riaprono le università, ma le attiviste spariscono
Segnali contraddittori dai Talebani. Le ragazze ammesse negli atenei pubblici e i due giornalisti di “Ariana news” liberati, così il governo di Kabul prova ad accreditarsi all’estero. Sul tavolo del Consiglio di sicurezza Onu arriva intanto il rapporto che parla di rappresaglie contro ex membri delle forze di sicurezza, esecuzioni extragiudiziali, intimidazioni contro attiviste e giornalisti. Ma il dialogo resta indispensabile
Università pubbliche riaperte in alcune province del Paese, anche per le studentesse. Aslam Ejab e Waris Hasrat, i due giornalisti di Ariana news in carcere da giorni, rilasciati. Intesa con il governo del Qatar per la ripresa dei voli di “evacuazione”. Ma ancora nessuna notizia di Tamana Zaryab Paryani e Parawana Ibrahimkhil, attiviste sparite da due settimane. Mentre Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, nell’ultimo rapporto inviato al Consiglio di sicurezza parla di decine e decine di rappresaglie contro ex membri delle forze di sicurezza, esecuzioni extragiudiziali, intimidazioni contro attiviste e giornalisti.
Il governo dei Talebani, annunciato il 7 settembre, invia segnali contraddittori, dopo che una delegazione guidata dal ministro degli Esteri di fatto, Amir Khan Muttaqi, ha incontrato a Oslo, in Norvegia, i rappresentanti degli Stati uniti, dell’Unione europea – incluso il rappresentante speciale dell’Italia Gianfranco Petruzzella – e della società civile afghana.
UN INCONTRO NECESSARIO a chiarire meglio cosa ci si aspetta dai Talebani e come affrontare la catastrofe umanitaria in corso, secondo il governo norvegese. L’occasione per i Talebani di accreditarsi all’estero, mentre all’interno esercitano violenza, secondo diversi attivisti. Forma, formula e luogo forse sbagliati, ma il dialogo con i Talebani è indispensabile. Il non riconoscimento dell’Emirato è un punto di partenza, non di arrivo. A meno di non voler lasciare le cose come stanno. Di non voler condannare la popolazione alla miseria, pur di colpire i Talebani. E di illudersi che la staffetta di solidarietà, come quella portata avanti dalle deputate italiane, cambi qualcosa in Afghanistan.
Serve la politica. Servono pressioni. Serve indicare quali passi compiere per ottenere che cosa. E con quali strumenti. Su questo si giocano partite importanti. La prima è su Unama, la missione Onu in Afghanistan, il cui mandato scade a marzo. Diverse le intenzioni, nella comunità internazionale: quale ruolo? Monitoraggio dei fondi umanitari, oppure anche dei diritti umani, come chiedono alcuni Paesi, specie occidentali, ma non altri? E con quali margini di manovra? Come evitare che la presenza di Unama diventi una forma indiretta di legittimazione? Nodi politici, che la politica e la società civile, in Italia, evitano. Preferendo staffette di solidarietà e raccolte fondi per le donne afghane.
LE CUI CONDIZIONI DI VITA materiali dipendono anche dalle scelte compiute o evitate qui. Sanzioni, congelamento dei fondi della Banca centrale, sospensione dei programmi di aiuto allo sviluppo, nessuna chiarezza su quali transazioni commerciali siano esenti da sanzioni e quali no, hanno effetti quotidiani sull’intera popolazione. Tutti i giorni.
Ieri, come annunciato dai rappresentanti dell’Emirato, alcune università pubbliche sono state riaperte nelle province in cui il clima è più mite: Laghman, Nangarhar, Kandahar, Nimruz, Farah, Helmand. Classi divise, segregate tra studenti e studentesse, ma università aperte. Un cedimento da parte dei Talebani, che al tempo del primo Emirato avevano bandito l’istruzione femminile, per ogni ordine e grado (senza rinunciare a flessibilità locali). Dal loro ritorno al potere, rimangono aperte alle ragazze le scuole inferiori, fino alla sesta classe; chiuse – nella maggior parte delle province – le scuole superiori. Così come aperte e accessibili alle studentesse sono rimaste le università private. Ora riaprono quelle pubbliche, a singhiozzo.
Troppo presto per valutare. Dal 26 febbraio, promettono i Talebani, anche nelle altre province e da marzo le scuole superiori. Ma sul ritorno allo studio delle ragazze pesano nuove pressioni sociali, nuovi vincoli economici. E nuovi timori. Da due settimane non si hanno notizie delle attiviste Tamana Zaryab Paryani e Parawana Ibrahimkhil. Che fine hanno fatto? I Talebani non rispondono.
* Fonte/autore: Giuliano Battiston, il manifesto
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