Sudafrica. Tribunale blocca i progetti petroliferi Shell contro le comunità indigene
Sudafrica. Una sentenza blocca il progetto di ricerca di petrolio e gas dell’azienda e dà ragione alle comunità indigene. Il giudice: «La popolazione locale detiene i diritti sull’area e il legame con l’oceano»
Una vittoria inaspettata e importante per le popolazioni indigene del Sudafrica e per gli ambientalisti. Il 28 dicembre 2021 il tribunale di Grahamstown ha vietato «con effetto immediato» al gigante petrolifero Shell di effettuare esplorazioni sismiche al largo della turistica Wild Coast, nella parte orientale del paese.
APERTA sull’Oceano indiano, la Wild Coast, con i suoi spettacolari paesaggi selvaggi, si estende per circa 300 chilometri e ospita diverse riserve naturali e aree marine protette.
Secondo Natural Justice, una delle ong che si è costituita parte civile nel caso, è «la costa più diversificata del paese con numerose specie minacciate e protette che si trovano nell’area di esplorazione di Shell», con l’aggiunta che il periodo previsto per l’esplorazione (dicembre-gennaio) coincide anche con la migrazione delle balene che attraversano l’area, con possibili conseguenze devastanti per i cetacei.
Il giudice Gerald Bloem ha ritenuto che la società anglo-olandese non avesse adempiuto «all’obbligo di consultare la popolazione locale, che detiene in particolare i diritti sul turismo e quelli sulla pesca e mantiene uno speciale legame spirituale e culturale con l’oceano».
LO SCORSO 29 novembre, quattro organizzazioni ambientaliste e per i diritti umani – Border Deep Sea Angling Association, Kei Mouth Ski Boat Club, Natural Justice e Greenpeace Africa – avevano presentato al tribunale di Grahamstown una richiesta urgente «per vietare alla Shell di cominciare con i test sismici in un ambiente marino sensibile ed ecologicamente diversificato come quello della Wild Coast».
Il progetto di ricerca dei giacimenti di petrolio e gas della Shell prevedeva, infatti, una particolare investigazione con un’onda d’urto inviata ogni dieci secondi nell’oceano, attraverso speciali barche dotate di cannoni ad aria compressa, per una durata di circa cinque mesi in un’area di oltre 6mila chilometri quadrati.
Il 3 dicembre il tribunale ha respinto la richiesta delle ong che, insieme alle comunità che vivono nella regione (Amadiba, Cwebe, Hobeni, Port Saint Johns e Kei Mouth), hanno presentato un nuovo appello a metà dicembre.
Lo stesso ministro dell’Energia sudafricano, Ngoako Ramatlhodi, aveva difeso il progetto Shell, accusando i suoi detrattori di bloccare gli investimenti economici di cui il paese ha bisogno indicando che «la scoperta di nuovi giacimenti avrebbe contribuito alla sicurezza energica sudafricana, fortemente dipendente dalle importazioni per il suo fabbisogno».
Ma nonostante le aspettative del governo, la pressione esercitata direttamente dalle comunità locali – a causa degli impatti negativi del progetto sulla pesca e sull’ecosistema anche per il turismo – ha convinto il tribunale a ribaltare la sentenza di primo grado.
«QUESTA VITTORIA è estremamente importante perché abbiamo fatto in modo che i diritti delle comunità indigene rimangano vivi – ha affermato Sinegugu Zukulu del collettivo “Sustaining the Wild Coast” in una dichiarazione di Greenpeace Africa – La sentenza ci ricorda che i diritti costituzionali appartengono al popolo e non al governo».
Lo stesso si può dire per quanto riguarda il diritto internazionale per altre azioni giuridiche da parte delle popolazioni locali – in Nigeria con Shell che ha devastato parte del territorio e dovrà versare 95 milioni di euro alle popolazioni o in Uganda per la Total – perché «il caso è di notevole importanza in quanto dimostra che, indipendentemente dalle dimensioni di un’azienda non è ammissibile ignorare le comunità locali», ha osservato l’avvocato Wilmien Wicomb intervistato dall’agenzia Afp.
Da parte sua la Shell aveva inizialmente comunicato di voler «rispettare la sentenza del tribunale e sospendere l’esplorazione», ma ieri attraverso un suo portavoce ha fatto sapere che «riesaminerà la sentenza», probabilmente con l’intenzione di presentare ricorso.
* Fonte: Stefano Mauro, il manifesto
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